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pagina aggiornata il 03/11/2003 |
unità 9 - Diritto al Lavoro 1 / Commento |
Liceo - Indirizzi Classico, Linguistico, Scientifico
Corso di Diritto - Diritto al Lavoro 1
COMMENTO |
L’attribuzione ai cittadini del diritto al lavoro è una novità introdotta dalla nostra attuale Costituzione: lo Statuto Albertino non conteneva riferimenti al lavoro.
La prima Costituzione ad occuparsene fu quella tedesca di Weimar nel 1919: non lo considerava un vero e proprio diritto, ma soltanto un obiettivo di politica economica dello Stato. Qualcosa di simile al nostro concetto si può, invece, ritrovare nella Costituzione della Repubblica spagnola del 1931, laddove affermò (art. 46) che “Il lavoro sotto le sue diverse forme è un obbligo sociale, e gode della protezione della legge, assicurando a tutti i lavoratori le condizioni necessarie a un'esistenza degna”: il lavoro è un obbligo sociale per lo Stato, quindi è un diritto per il cittadino.
Dire, infatti, che la Repubblica è fondata sul lavoro, non deve trarre in inganno, non deve indurci a pensare ad un’espressione soltanto retorica, priva di concretezza, ma significa anzitutto contestare l’importanza che in altri ordinamenti è accordata a valori diversi, attribuendo maggiore importanza al valore “lavoro”: la retorica è un modo, più o meno efficace, per dire le cose: il bene e il male stanno nelle cose dette. E nell’art. 1 si dice "lavoro". Non "business", anzi "bìsnes" come siamo abituati a veder scritto ultimamente. E nemmeno “Repubblica dei lavoratori”, come pure era stato proposto, con un forte sospetto di socialismo reale.
Inoltre, fondare sul lavoro la Repubblica, vuol dire anche attribuire al lavoro il ruolo di criterio più idoneo a stabilire il pregio di una persona ed a valutare la posizione da attribuire ai cittadini nello Stato; ciò dovrebbe avvenire facendo riferimento alle capacità di ciascuno, purché sia data a tutti la possibilità di svolgere l'attività più adatta alle proprie attitudini.
L’affermazione che la Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto va poi intesa nel senso che allo Stato spetta il compito di impiegare ogni mezzo a sua disposizione per favorire la massima occupazione possibile (in teoria sino a giungere al pieno impiego di tutti), non che sussista l'obbligo di procurare a tutti un posto di lavoro.
Occorre tener presente che il lavoro dell’art. 1 non è comunque il medesimo dell’art. 35. Nel primo, inserito fra i principi fondamentali, ci si riferisce ad ogni attività che concorra al progresso materiale e spirituale della società, comprendendo in tal modo sia il lavoro subordinato, cioè quello svolto alle dipendenze di qualcuno, sia quello autonomo (in proprio).
L’art. 35, invece, intende tutelare il lavoratore subordinato, considerato come soggetto debole del rapporto di lavoro, garantendogli diritti concreti e forme di tutela: in tal modo si dovrebbe rendere effettivo il principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 anche per i lavoratori, imponendo alla Repubblica di favorire il cittadino-lavoratore.
Per ottenere simili risultati la Repubblica “Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori”. Per formazione s’intende l’attività che si propone inizialmente di insegnare a svolgere una certa professione; in seguito vi rientrano le attività di aggiornamento, di specializzazione e di riqualificazione (insegnare un nuovo lavoro più richiesto dal mercato).
L'elevazione professionale dei lavoratori, invece, ha per obiettivo quello di inserirli e reinserirli nel mercato del lavoro ai livelli più elevati possibile.
Si tratta di concetti che risentono del tempo trascorso, forse più adatti all’epoca in cui furono scritti, quando l’azienda era spesso considerata come l’unico luogo nella vita (anche perché difficilmente si cambiava lavoro) di arricchimento personale e professionale.
L’attuale precaria situazione dell’offerta di lavoro (i francesi direbbero “intermittente”) costringe la formazione a rincorrere le figure professionali “più appetibili”, creando le premesse per passaggi da un’occupazione all’altra, rincorrendo quella al momento più promettente.
Inoltre, gli attuali sistemi di organizzazione del lavoro, tesi a risparmiare sui costi o a globalizzare le produzioni, spesso non servono ad elevare la cultura e la professionalità, ma si limitano a creare perfetti specialisti nella produzione di certi prodotti e solo di quelli: col rischio che, data la scarsa rilevanza della componente umana, la produzione venga spostata in altre parti del mondo, dove il costo della “materia prima” uomo è più basso.
La Costituzione, forse inconsapevolmente, prevedeva già dei correttivi a tutto ciò, perché, accanto all'affermazione dei principi propri del liberismo economico (la libertà di iniziativa economica, il diritto di proprietà...) indicava allo Stato i criteri da seguire in campo economico per rendere effettive le libertà e l'uguaglianza dei cittadini, per tutelarli dal primo di tutti i bisogni: il bisogno economico: “L’iniziativa economica privata (...) Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Il problema è ristabilire la gerarchia, presente nella Costituzione, fra diritti o libertà economiche e diritti della persona, per cui i primi servono a garantire gli altri (mentre oggi sembra avvenga il contrario).
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