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pagina aggiornata il 01/10/2003

unità 1 - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola

Liceo - Istituto Professionale

Corso di Storia - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola

Biennio

SEZIONE 1 - L'EVOLUZIONE UMANA

Percorso avanzato

1. L'eredità dei primati arboricoli
2. L'eredità degli ominidi
3. L'uomo, un cucciolo prematuro

Capitolo primo.

L'EREDITA' DEI PRIMATI ARBORICOLI.

 Primati ed arboricolità. Alla fine del Mesozoico, i Primati erano Mammiferi piccoli, astuti e veloci, diffusi in America, Africa ed Asia. Alcuni di essi, costretti a rifugiarsi sugli alberi dall'aggressività dei Carnivori e dalla concorrenza alimentare dei Roditori, svilupparono artigli prensili per appendersi alle fronde degli alberi e una vista acuta per saltare sui rami di notte, quando la minaccia dei predatori si attenuava.

 

Arboricolità e convergenza orbitale. Per valutare la distanza tra i rami e ridurre il pericolo di spiaccicarsi al suolo, nei Primati si trasformò la posizione delle orbite oculari, che da laterali al capo divennero frontali (convergenza orbitale). Questo fatto è di grande importanza, sia perché diede loro una vista tridimensionale sia perché è alla base della nostra capacità di percepire le altezze e le distanze. Con il lento passaggio dalla vita notturna alla vita diurna, poi, gradualmente aumentò la capacità di distinguere i colori e le aree del cervello destinate alla rielaborazione degli stimoli visivi divennero più ampie e complesse.

 

Arboricolità ed apparato masticatorio. Sugli alberi, i Primati presero a nutrirsi di piccole prede, come insetti e larve, oltre che di teneri vegetali. I loro denti si ridussero di numero, ma mantennero la mancanza di specializzazione tipica di tutti gli onnivori: gli incisivi non assunsero una forma a scalpello come nei roditori; i canini non divennero né troppo lunghi né eccessivamente aguzzi, come nei carnivori; i molari furono meno robusti di quelli degli erbivori. Con la ridefinizione dell'apparato masticatorio, i denti si rimpicciolirono: lo spessore dell'avorio si ridusse e, di conseguenza, aumentarono malattie quali infezioni gengivali e carie.

Anche la mancanza congenita del dente del giudizio può essere fatta risalire a un analogo processo di adattamento, se pensiamo che il tempo dedicato dall'uomo moderno occidentale alla ricerca del cibo è trascurabile a paragone di quello dedicato da una scimmia o da un uomo primitivo. Lo studio dei resti scheletrici di popolazioni antiche ci dimostra che nel Paleolitico superiore solo l'11.8% degli individui ne era privo e che nell'antico Egitto questo tasso era già salito al 12.5%, mentre oggi il dente del giudizio è decisamente meno presente e quasi sempre piccolo, mal posto, cariato o circondato da infiammazione.

 

Arboricolità e mano. Un'altra importante conseguenza dell'arboricolità dei Primati riguarda gli arti anteriori. La "mano" sostituì parte delle funzioni specifiche dell'apparato boccale e dell'olfatto, afferrando e trattenendo il cibo e riconoscendo gli oggetti col tatto. Divenuti inutili, gli artigli si trasformarono in unghie piatte ed il primo dito acquisì l'opponibilità, cioè si allontanò dalle altre quattro dita acquisendo la possibilità di toccarne i polpastrelli. La funzione prevalente della "mano" rimase la presa di forza, necessaria per appendersi ai rami, e prensile fu pure la coda, una traccia della quale persiste ancor oggi nel feto umano gettando luce sulle nostre origini.

 

Arboricolità e capacità comunicativa. Pur vivendo sugli alberi, i Primati erano ugualmente predabili, tanto che per ridurre i rischi dovettero sviluppare un comportamento sociale cooperante. La capacità di comunicare con la mimica facciale fu preparata dall'assenza di pelo sul muso e dall'aumento del numero di muscoli facciali; pure l'emissione di frequenti suoni di tonalità alta servì a tener lontani i nemici e anticipò la vera e propria comunicazione vocale. 

 

Capitolo secondo.

L'EREDITA'DEGLI OMINIDI.

 La stazione eretta. Un ulteriore passo avanti nella selezione naturale avvenne quando, a causa del restringimento delle foreste equatoriali per cambiamenti climatici, tra i Primati si accese una forte competizione. La penuria di frutti ed insetti li stimolò dapprima a scendere a terra e poi li spinse ai margini della foresta; in un lungo arco di tempo, sperimentarono nuove modalità di vita, cosicché forma e funzioni del corpo, abitudini alimentari e comportamenti subirono forti trasformazioni.

Spostarsi nella savana significò affrontare un nuovo ambiente, reso pericoloso dalla presenza di grandi Carnivori (Felidi, Canidi...) ma anche ricco di stimoli. Fu probabilmente a questo punto dell'evoluzione che la postura eretta, occasionale nelle scimmie antropomorfe[1] africane (scimpanzé e gorilla), divenne abituale negli Ominidi. Possiamo immaginare che questi ultimi passassero molto tempo ritti sugli arti posteriori a scrutare la prateria, al di sopra della barriera visiva costituita dalle erbe alte, per avvistare in tempo utile i predatori.

La stazione eretta è documentata in Africa, a partire da circa 4 milioni di anni fa, dalle impronte fossili di Laetoli (Tanzania) scoperte nel 1978. L'acquisizione di questa postura comportò una riorganizzazione di tutto l'apparato locomotorio, che interessò lo scheletro, le articolazioni, i muscoli, i centri dell'equilibrio e gli organi interni (utero e canale del parto...).

 

Stazione eretta e scheletro. Il passaggio al bipedismo modificò l'assetto dello scheletro. Fra i Primati, le scimmie quadrupedi hanno un asse vertebrale parallelo al suolo e perpendicolare alle linee di forza del campo gravitazionale: a causa della coesione delle vertebre, l'asse è assai rigido e il peso del corpo si scarica in modo più o meno uniforme sugli arti anteriori e posteriori, impegnati sia nell'appoggio sia nella locomozione.

La situazione è diversa nelle scimmie antropomorfe a stazione semi-eretta, per le quali l'appoggio e lo scarico delle forze avvengono prevalentemente sulle zampe posteriori, mentre quelle anteriori hanno solo compiti secondari.

Nell'uomo, invece, lo scarico di tutte le forze avviene lungo l'asse verticale della colonna vertebrale, fino all'osso sacro; quest'ultimo, più robusto e basso, trasmette ogni sollecitazione alle anche e consente di dividere equamente il peso sugli arti inferiori.

 

Stazione eretta ed arti. Quando l'uomo è fermo ed eretto, il centro di gravità cade all'interno della superficie d'appoggio di entrambi i piedi; diversamente, quando si muove, l'intero peso del corpo viene sostenuto da un solo piede. Per questa ragione, la struttura del piede è contemporaneamente compatta ed elastica: l'alluce non è più opponibile, la mobilità delle dita è ridotta e le ossa consentono un appoggio ottimale sul terreno.

La funzione prevalente della mano, ormai libera dall'appoggio, è perciò la presa di precisione, che consiste nell’opposizione del pollice all'indice e al medio. In particolare, la mano umana si distingue da quella degli altri Primati per la notevole sensibilità tattile e per l'elevata coordinazione motoria che, con il linguaggio articolato, permette di esprimere il pensiero e costituisce una vera e propria proiezione del cervello.

 

Stazione eretta e fonazione. Collegabili all'acquisizione della postura eretta furono pure l'abbassamento della laringe e il conseguente allungamento del canale vocale, piegato ad angolo retto. Variando l'ampiezza del cavo orale e muovendo la lingua, le corde vocali riescono ad emettere suoni modulati: le vocali. Più semplicemente, le consonanti si ottengono frapponendo un ostacolo (come denti, lingua o labbra) ai suoni delle vocali.

Di pari passo, nel cervello si formarono due aree, rispettivamente incaricate di controllare i movimenti di lingua e labbra e di collegare concetti a parole. L'integrazione fra cervello e voce accrebbe l'abilità di comunicazione verbale: possiamo ad esempio immaginare che la selezione abbia favorito coloro che, nelle battute di caccia, comunicavano con rapidità ed efficacia usando un linguaggio articolato.

 

Stazione eretta e cranio. Nella postura quadrupede, l'articolazione del cranio con la colonna vertebrale avviene lungo un piano orizzontale: di conseguenza, il cranio risulta "appeso" all'asse vertebrale e necessita di poderosi muscoli sulla nuca. Nei bipedi, invece, il capo poggia sulla spina dorsale come un capitello su una colonna e ciò comporta la riduzione dei muscoli della nuca e la riorganizzazione delle ossa craniche.

La regione occipitale è quella che subisce le trasformazioni più vistose: tutta la parte del cranio destinata ad ospitare il cervello assume una forma a globo, mentre la mandibola tende a ridursi. La conseguenza è l'aumento di volume cerebrale, non collegabile però direttamente con la maggior "intelligenza" che dipende semmai dalla complessità della struttura del cervello e dalla specializzazione delle sue componenti.

 

Capitolo terzo.

L'UOMO, UN CUCCIOLO PREMATURO.

La neotenìa. Lo studio comparato dell'Uomo e delle specie più affini suggerisce che noi siamo scimmie antropomorfe con una crescita ritardata. Visto il nostro sentirci al centro della natura, sorprenderà conoscere il ruolo svolto dalla neotenìa (letteralmente: attitudine a protrarre la gioventù) nell'evoluzione.

Il neonato umano è una sorta di feto partorito troppo presto, prima che sia pronto alla vita autonoma: solo mesi dopo il parto i denti escono dalle gengive; inoltre, il cranio si consolida lentamente per consentire al cervello di completare un processo che lo porta a triplicare il suo peso nei primi due anni di vita. I nostri piccoli, che impiegano più tempo per passare dall'infanzia alla pubertà ed alla maturità rispetto a qualunque scimmia antropomorfa, sono esposti alle influenze dell'esterno quando sono ancora vulnerabili e perciò vengono protetti a lungo dai genitori.

 

L'aumento del volume del cranio. Dalle informazioni ricavate dai fossili, sappiamo con certezza che l'andatura bipede è precedente allo sviluppo di una testa voluminosa. Il volume cranico di Homo erectus è quasi doppio di quello di Australopitecus afarensis e  raggiunge valori massimi pari a quelli medi dell'uomo attuale.

Nel corso dell'evoluzione, la comparsa di grossi cervelli deve aver posto seri problemi di carattere selettivo. Infatti, con l'acquisizione della stazione eretta si era progressivamente ridotto il bacino, cioè il canale osseo del parto, cosicché teste sempre più grandi dovevano passare attraverso canali sempre più stretti.

E' evidente che, al momento della nascita, il volume del capo non può essere troppo grande se si vuole assicurare la sopravvivenza di madre e figlio. Studi specifici hanno dimostrato che il parto di Australopitecus doveva essere relativamente semplice, mentre per Homo erectus sarebbero potute insorgere complicazioni. Qualche esemplare di Homo erectus potrebbe aver dato alla luce figli prematuri, la cui neotenìa avrebbe aggirato l'ostacolo delle piccole dimensioni del bacino senza arrestare la crescita di volume del cervello.

 

Un modello per spiegare un passaggio evolutivo. Statistiche mediche dimostrano che lo stare a lungo in piedi durante la gravidanza è uno dei fattori che aumenta il rischio di parti prematuri, forse per la pressione esercitata dal feto verso il basso. Si può supporre che, per lo stesso meccanismo, la stazione eretta degli Ominidi abbia favorito una frequenza sempre maggiore di nascite premature al fine di evitare la nascita di figli dal cranio troppo voluminoso.

Altre statistiche mediche accertano che, in rapporto alle dimensioni totali del feto, l'accrescimento del cervello rallenta notevolmente a partire dalla fine dell'ottavo mese di gestazione per riprendere dopo la nascita. Nei bambini nati prematuri, invece, la crescita cerebrale continua senza rallentare: la prematurità può rappresentare un fattore di sovraccrescimento del cervello.

Parecchi indizi sembrano dunque indicare una stretta relazione tra stazione eretta, volume del cranio e del cervello e nascita di bambini prematuri. Non deve esser stato un processo privo di inconvenienti. In termini evolutivi, i piccoli umani, nati sottosviluppati, si trovavano davanti all'alternativa tra morire o essere addestrati; si rivelò vantaggioso il modello di una scimmia a sviluppo ritardato ma più intelligente. Potrà sembrare un paradosso, ma da esseri pateticamente indifesi e dotati di buona mente sarebbe derivata l’attuale umanità.


 

[1]Antropomorfo. Termine che indica la somiglianza tra la forma di un oggetto o di un animale e quella umana.

 

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