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pagina aggiornata il 08/12/2003

unità 2 - Età del Bronzo tra Oriente ed Occidente

Liceo - Istituto Professionale

Corso di Storia - Età del Bronzo tra Oriente ed Occidente

Biennio

SEZIONE 1 - I POLI DELLO SVILUPPO: LE CIVILTA' IDRAULICHE

Percorso avanzato

1. Il rapporto con l'ambiente
2. L'organizzazione dell'economia
3. Le componenti della società
4. I poteri e le istituzioni
5. Le strutture insediative
6. Il sapere
I POPOLI E LE CIVILTA'
L'Egitto
La Mesopotamia
La Valle dell'Indo
La Valle dello Huanh Ho

Capitolo primo.

IL RAPPORTO CON L'AMBIENTE.

 L'ambiente originario. Le civiltà idrauliche sorsero nel III millennio a.C. nelle pianure del Nilo, del Tigri e dell'Eufrate, dell'Indo e dello Huang ho. Fin da tempi molto antichi, il tratto più vicino alla foce di questi fiumi era stato frequentato dall'Uomo, attratto dall'abbondanza di selvaggina, pesci e vegetali spontanei, ma frenato dalle inondazioni periodiche e dai numerosi acquitrini che non permettevano l'agricoltura né lo stabile insediamento di popolazioni.

 L'iniziativa umana. La fertilità dei suoli, consentita dagli abbondanti residui organici depositati dalle piene, spinse l'Uomo a modificare l'ambiente naturale per rendere praticabili le coltivazioni. Gli argini servirono a limitare la furia devastatrice delle inondazioni, i bacini a disporre d'acqua nei periodi di siccità e i canali a prosciugare le paludi e a irrigare i campi.

Foreste estesissime furono in gran parte abbattute per sfruttare il legname (a volte con esiti disastrosi, come nel bacino dell'Indo) o, talvolta, ridimensionate e trasformate in parchi per lo svago e la caccia di monarchi e di nobili. Meravigliosi giardini vennero impiantati in prossimità delle maggiori città e costituirono il vanto dei gruppi sociali dominanti.

 Fiume e civiltà. La navigabilità dei fiumi rendeva semplici le comunicazioni a distanza e convenienti lo sfruttamento di materie prime e gli scambi su vasta scala: per questa ragione, lo sviluppo economico, sociale e culturale di popolazioni anche lontane le une dalle altre seguì percorsi comuni. Inoltre, la scarsità di barriere naturali all'interno dei bacini fluviali e la presenza di montagne, deserti e mari come confini esterni facilitarono la nascita di Stati in grado di imporre il proprio controllo su estesi territori.

  

Capitolo secondo.

L'ORGANIZZAZIONE DELL'ECONOMIA.

 L'agricoltura irrigua. Fin dal V millennio a.C., ancora in pieno Neolitico, piccole comunità di cacciatori, pescatori e raccoglitori semi-nomadi avevano realizzato primitive opere idrauliche, utili a regolare il flusso delle acque fluviali e a rendere possibili l'agricoltura e la sedentarietà.

I cereali erano stati i protagonisti di questa trasformazione: il miglio nel bacino dello Huang ho, il frumento e l'orzo in Egitto, in Mesopotamia e nella valle dell'Indo. La naturale fertilità del terreno aveva inoltre consentito di accrescere il rendimento delle colture molto al di sopra della norma: per ogni chicco seminato, se ne raccoglievano da un minimo di 10 a un massimo di 30.

Argini, bacini artificiali e canali non furono la sola novità tecnica che contrassegnò le aree idrauliche. Infatti, per evitare che il terreno si impoverisse troppo nel nutrire i cereali, su ogni singolo appezzamento si alternò un anno di semina a un anno di riposo a maggese (foraggio utilizzato per l'alimentazione del bestiame). Per merito della rotazione biennale delle colture, oltre che del clima e dell'irrigazione, si riuscì a effettuare una semina subito dopo la mietitura primaverile e a ottenere un secondo raccolto in autunno.

 

La struttura produttiva. Malgrado questi lusinghieri risultati, la crescita demografica impegnò ogni comunità di villaggio in un continuo sforzo per ricavare nuove terre coltivabili. Quest'obiettivo, l'unico praticabile per reperire maggiori risorse alimentari, non era però raggiungibile affidandosi a mezzi primitivi e a iniziative spontanee, ma richiedeva un'organizzazione in grado di mobilitare grandi energie. Tale organizzazione si concretizzò nel tempio, sede di quei sacerdoti che la mentalità comune individuava come gli interpreti della volontà degli dei.

Il tempio assunse il controllo del processo economico, affermando il proprio possesso di tutti i mezzi di produzione[1], dalla terra ai capi di bestiame, dagli utensili alle sementi. Con l'aiuto degli altri nobili, i religiosi obbligarono i contadini a versare offerte alle divinità, cosicché nelle mani dei produttori rimanesse soltanto la parte di raccolto strettamente indispensabile per sopravvivere; inoltre, li costrinsero a prestare la propria manodopera nei lavori di ampliamento di canali, bacini e argini, durante i periodi in cui le piene allagavano i campi e rendevano impossibili le attività rurali.

Le offerte furono stivate nei magazzini del tempio e accuratamente contabilizzate dagli scribi, funzionari esperti nella scrittura che si occuparono anche di censire regolarmente la popolazione, gli appezzamenti e le colture. Il surplus immagazzinato servì in parte come scorta per attenuare i danni provocati dai cattivi raccolti e in parte per nutrire coloro che svolgevano compiti diversi da quelli agricoli, come i sacerdoti, i nobili, gli scribi.

 

La città e lo Stato. Al principio del III millennio a.C., la nuova organizzazione produttiva poté considerarsi del tutto assestata. Ormai radicate nel modo di vivere, l'articolata divisione del lavoro e la profonda disuguaglianza fra gli individui divennero ancor più evidenti con la nascita delle città, sorte sulle rive dei fiumi in seguito all'espansione degli edifici intorno ai templi. In modo lampante, i centri urbani si identificarono come il luogo del comando e del privilegio, così come le campagne si distinsero come lo spazio dell'obbedienza e dello sfruttamento.

Nelle città si affermarono i palazzi, dimore dei nobili e centri di un potere nuovo. In effetti, il prestigio di questa componente sociale era pian piano cresciuto grazie alla guerra, uno strumento sempre più determinante ai fini del mantenimento dell'ordine interno, della protezione del territorio contro le aggressioni e dell'incremento della ricchezza ottenuto sottraendo terre e braccia alle comunità rurali sottomesse.

I palazzi affiancarono i templi nella direzione economica, riproponendo il tradizionale sistema di comando e rendendolo più incisivo grazie allo Stato. Il monarca, esponente di spicco dei nobili, assunse la guida della collettività e, spesso, rivendicò il possesso dei mezzi di produzione; attraverso numerosi funzionari, controllò minuziosamente la raccolta e la gestione dei tributi, vere e proprie tasse che si aggiunsero alle consuete offerte; aggravò le prestazioni lavorative dei contadini, impegnandoli accanto ai prigionieri di guerra nella realizzazione di quei monumenti che rendono ancor oggi memorabili le civiltà idrauliche, come le piramidi e le ziqqurat.

 

L'artigianato e la tecnologia. Mentre nei villaggi gli oggetti d'uso quotidiano erano prodotti dalle famiglie contadine, nelle città gli artigiani specializzati creavano manufatti pregiati e degni dei gruppi dominanti: dai blocchi di pietra scolpiti ai mattoni usati nella costruzione dei templi e dei palazzi, dalle armi ai gioielli di bronzo. L'attività di questi lavoratori, come del resto quella dei contadini, non era libera: materie prime e utensili venivano forniti loro dal tempio o dal palazzo, mentre i prodotti finiti confluivano nei magazzini; in cambio del lavoro svolto, essi ricevevano soltanto i beni necessari per mantenersi.

Non si può dire che le civiltà idrauliche siano state protagoniste di grandi scoperte utili a migliorare le tecniche produttive. L'aratro, la ruota da vasaio, la barca a vela, il carro con le ruote, i procedimenti per la lavorazione del rame e del bronzo e gli impianti per l'irrigazione furono inventati in precedenza, da società rurali o addirittura nomadi. Semmai, l'organizzazione incentrata sul tempio e sul palazzo consentì a queste invenzioni di perfezionarsi e diffondersi. In particolare, la lavorazione del bronzo progredì notevolmente, tanto che questo materiale finì pian piano per sostituire la pietra, l'osso e il legno anche negli oggetti d'uso quotidiano.

 

Gli scambi e la guerra. I commerci interni alle aree idrauliche furono molto ridotti. Infatti, i villaggi erano sostanzialmente autosufficienti, mentre nei centri urbani i magazzini garantivano il rifornimento dei generi di prima necessità.

Molto attivi furono invece i traffici con l'estero, che coinvolsero tutte le terre fra il Mediterraneo orientale e l'India. La mancanza di alcune materie prime, come il rame, lo stagno, il legname e la pietra da costruzione, l'oro e l'argento, spinse i monarchi a finanziare spedizioni commerciali sulla terraferma, lungo i fiumi e, in epoche più recenti, anche sul mare. Spesso, queste forniture furono barattate con manufatti di valore, oggetto anche dello scambio di doni fra sovrani.

Inoltre, per procurarsi le materie prime mancanti, soprattutto i metalli, i monarchi non esitarono a mobilitare eserciti sempre più imponenti, lanciandoli in sanguinose campagne di sottomissione contro i popoli "marginali" che controllavano i giacimenti. In qualche caso ottennero di occupare i Paesi stranieri, più frequentemente di imporre tributi in natura. Ad esempio, la Siria e la Palestina furono contese in varie occasioni dai maggiori Stati del Vicino Oriente, desiderosi di assicurarsi lo sfruttamento delle miniere di rame e di stagno.

 

Gli elementi di fragilità del sistema. Le opere idrauliche, gli edifici monumentali e il lusso di cui si circondavano i monarchi e i gruppi dominanti avevano un costo elevatissimo, che ricadeva sulle spalle dei soli contadini. Questi ultimi, normalmente già ai limiti della sopravvivenza, erano oppressi da tributi e offerte e sopraffatti dalle massacranti prestazioni lavorative obbligatorie. Fra i ceti subalterni, il malcontento era all'ordine del giorno e la ribellione sempre in agguato.

Per altro verso, era impensabile che i gruppi dominanti rinunciassero ai propri privilegi, visto erano l'effetto del possesso di conoscenze indispensabili per gestire il sistema. Dal canto loro, queste conoscenze, non scientifiche ma magico-religiose, non servivano a migliorare il rendimento agrario: in presenza di una crescita demografica costante, bastava che il raccolto fosse scarso per pochi anni consecutivi, perché la carestia si scatenasse, la fiducia nella protezione degli dei venisse meno e il disordine si abbattesse sullo Stato.

  

Capitolo terzo.

LE COMPONENTI DELLA SOCIETA'.

 Una società piramidale. Questa formula esprime bene l'assetto tipico delle società idrauliche, ampie aggregazioni il cui vertice era occupato da un ristretto gruppo dominante e la cui base era composta dalla maggioranza subalterna della popolazione.

Il gruppo dominante. Alla sommità della piramide vi erano i nobili guerrieri e i sacerdoti. Tutti i nobili guerrieri discendevano da altri nobili guerrieri ed era per loro impossibile unirsi in matrimonio con donne estranee alla loro casta. I sacerdoti, appartenenti come i guerrieri alla casta nobiliare, si specializzavano nel proprio ruolo dopo aver seguito lunghi studi nel segreto dei templi. Entrambe queste componenti del gruppo dominante erano ordinate secondo una gerarchia interna: il clan nobiliare era retto dai membri più anziani, mentre la guida dei religiosi spettava al sommo sacerdote, capo del tempio.

 

I gruppi intermedi. Al di sotto dei sacerdoti e dei nobili guerrieri, possiamo collocare i funzionari dello Stato, gli scribi, i mercanti e gli artigiani. Questi gruppi cittadini, composti da un numero di individui maggiore rispetto a quelli dominanti, erano formati da lavoratori liberi nella persona ma non nella scelta dell'attività, che si tramandava di padre in figlio.

I funzionari dello Stato e gli scribi, lavoratori intellettuali, appartenevano alla burocrazia, all'interno della quale la carriera era regolata per anzianità e per merito. I mercanti erano organizzati in corporazioni[2], il cui compito era di difendere gli affiliati dalla prepotenza dei palazzi e dei templi. Gli artigiani, la più debole fra queste categorie, erano lavoratori manuali la cui sola forza consisteva nella conoscenza tecnica specializzata.

 

I gruppi subalterni. Anche nelle regioni più sviluppate, gli abitanti della città erano una ridotta minoranza rispetto al resto della popolazione: all'incirca, a ogni individuo che viveva nelle aree urbane ne corrispondevano quattro che dimoravano e svolgevano le loro attività nei villaggi.

Pur liberi nella persona, i contadini erano servi dei templi o dei palazzi. Dalla nascita alla morte erano legati alla terra che coltivavano e, periodicamente, venivano costretti alle corvées: tale condizione era immutabile e si perpetuava di generazione in generazione.

In qualche caso, a fianco dei contadini operò nelle campagne una componente di "servi liberi" (chiamati hapiru in Mesopotamia), composta da individui legati per contratto a templi e palazzi. Si trattava in genere di nomadi stranieri (ad esempio, gli Ebrei in Egitto) costretti a fornire tributi e corvées in cambio dell'ospitalità.

La più bassa categoria sociale era quella dei prigionieri, stranieri catturati nel corso di guerre o persone punite per aver commesso gravi delitti. Considerati un possesso dello Stato, erano privi di diritti e venivano adibiti ai lavori peggiori, nelle miniere o nella costruzione delle opere pubbliche.

 

La posizione della donna. Le società idrauliche erano patrilineari e patriarcali, perciò il possesso collettivo e il potere si tramandavano fra maschi, mentre la donna era relegata a una posizione subordinata. Anche se nella classe dominante era consentita la poligamia, la donna godeva di notevole prestigio: una vedova poteva diventare capofamiglia e, se moglie del re, talvolta le si consentiva di governare. Fra i ceti subalterni, invece, non vi era alcuna sostanziale distinzione fra il ruolo femminile e quello maschile.

  

Capitolo quarto.

I POTERI E LE ISTITUZIONI[3].

 Stato e monarca. Dal IV millennio a.C., in seguito alla conquista di vasti territori da parte di un gruppo dominante, si formò lo Stato, uno strumento finalizzato a dirigere l'economia e a garantire la difesa dei confini. Al vertice di questo organismo vi fu il monarca, massimo esponente della casta dei nobili.

Considerato l'incarnazione di un dio o il prediletto di questi, il monarca esercitava un'autorità teocratica[4]. Si pensava che dalla sua esistenza dipendessero l'ordine e il benessere dell'intero Paese, che la sua benevolenza accordasse agli uomini protezione contro le catastrofi naturali e le carestie, che la sua guida assicurasse la vittoria all'esercito.

Egli rappresentava l'intera popolazione e l'insieme delle entità naturali: si credeva che con la sua nascita salvasse il genere umano, consentendone la redenzione nell'aldilà e permettendo il rinnovarsi delle generazioni. La sua posizione era quindi quella di un essere sovrannaturale, superiore per potenza e prestigio a qualsiasi nobile e sacerdote.

 

Compiti del monarca. Il monarca esercitava poteri assoluti che, dopo la sua morte, venivano trasmessi a un successore scelto fra i suoi parenti stretti, secondo un principio dinastico[5]. Egli era il perno della collettività: attraverso lo Stato, vigilava sulla funzionalità delle opere idrauliche e coordinava l'economia; come capo dell'esercito, conduceva le campagne di conquista e manteneva l'ordine interno; in qualità di sommo giudice, risolveva le contese che insorgevano fra i sudditi.

Garantiva la stabilità del sistema e l'unità del territorio, tenendo a bada i templi e i palazzi che, nelle varie regioni del Paese, cercavano di affermare il proprio potere ai danni dello Stato. I religiosi e i nobili erano sempre tesi ad aumentare i propri privilegi a spese dei contadini e, non di rado, i villaggi dovevano rivolgersi al monarca per proteggersi contro tributi iniqui e soprusi.

 

Il diritto[6]. In genere, le norme emanate dal monarca avevano carattere orale ed erano tramandate per consuetudine. Solo in Mesopotamia le leggi vennero codificate per iscritto, nell'intento di superare le particolarità locali e di dare stabilità al governo: a questo proposito, ebbe particolare rilievo il codice del re babilonese Hammurabi (XVIII secolo a.C.), composto da 282 articoli riguardanti la criminalità, il commercio, il matrimonio, la famiglia e il possesso dei beni (cfr. La ricerca e le fonti: Il codice di Hammurabi).

 

L'esercito, la burocrazia e i tributi. Gli strumenti di cui il monarca si serviva per imporre l'ordine erano l'esercito e la burocrazia, settori dello Stato affidati alla direzione dei nobili di corte. Fra le massime cariche spiccavano quelle del comandante dell'esercito, del primo ministro, dell'amministratore del tesoro reale, degli architetti e degli ingegneri; di solito, le varie regioni erano rette da governatori, spesso corrotti dai poteri locali e difficilmente controllabili, visto che le comunicazioni piuttosto lente costituivano uno dei punti deboli del sistema politico[7].

Funzionari di rango inferiore erano invece gli scribi e gli esattori fiscali. I tributi statali facevano confluire gran parte dei prodotti del Paese nel tesoro reale. La tassa principale era versata una volta all'anno da tutti gli abitanti adulti e il suo importo variava a seconda delle esigenze finanziarie dello Stato. Imposte straordinarie, di entità minore, servivano poi la corte, l'esercito e il personale amministrativo. Come abbiamo visto, anche i templi e i palazzi più piccoli potevano imporre tributi nelle loro regioni.

 

Longevità e instabilità dell'ordine politico. Mentre le istituzioni delle civiltà idrauliche rimasero immutate nel corso dei millenni, le dinastie al governo degli Stati furono periodicamente rovesciate. Non di rado, le corti ordivano intrighi e congiure contro il monarca, mentre i nobili e i sacerdoti locali approfittavano di ogni difficoltà dell'autorità centrale per tentare di rovesciarla.

Questa aspra contesa finiva per diminuire le capacità difensive, già difficili a causa delle estese dimensioni del territorio. In coincidenza con le cicliche crisi economiche e sociali, quando l'instabilità aumentava ancor più, i confini si sguarnivano: accadeva allora che il Paese divenisse facile preda degli eserciti stranieri o delle incursioni di tribù nomadi.

  

Capitolo quinto.

LE STRUTTURE INSEDIATIVE.

 I messaggi dell'architettura, dalla campagna alla città. L'aspetto degli insediamenti non dipese solo dalla necessità di attribuire spazi adeguati alle diverse attività sociali e lavorative, ma ebbe anche un valore simbolico e didattico[8]. La disposizione degli edifici, tutt'altro che casuale, era pianificata in base a una concezione dello spazio che doveva essere chiara a chiunque la osservasse: dunque le strutture insediative ci parlano di specifiche visioni del mondo, in grado di orientare i comportamenti degli abitanti e degli stranieri.

Mentre i villaggi rispondevano solo alle elementari esigenze della sopravvivenza e le casupole erano simili l'una all'altra e costruite con materiali poveri e reperiti sul posto, le città erano lo specchio di un vita complessa e i quartieri separavano rigidamente le lussuose dimore del gruppo dominante dalle misere abitazioni degli artigiani. Le cerchie di mura risultavano così ben più che una semplice opera difensiva, in quanto marcavano un vero e proprio confine fra il potere cittadino e la subordinazione rurale.

 

Centri religiosi, centri politici. Il tempio e il palazzo, dimore del dio e del potere, erano costruiti con criteri monumentali: i mattoni crudi, in seguito rivestiti di pietra, e ancor più i massi squadrati ne sottolineavano l'indistruttibilità adeguata agli dei. Per questa ragione, oggi rimangono i resti di questi centri, mentre ci è più difficile trovare traccia dei villaggi e, in generale, dei luoghi in cui viveva la gente comune.

La totale dipendenza della collettività dal potere dei sacerdoti e dei monarchi era evidenziata dalla collocazione dei templi e dei palazzi in luoghi elevati, visibili da lontano e incombenti sui sudditi. Proprio perché i governanti garantivano il rispetto sulla Terra dell'ordine divino, le loro sedi includevano magazzini ricolmi, testimonianze concrete della benevolenza degli dei: come scale, univano il cielo alla terra e gli dei agli uomini; come ombelichi, trasmettevano la volontà divina ai pochi uomini che materialmente comandavano.

  

Capitolo sesto.

IL SAPERE

 La conoscenza. Il sapere era una prerogativa del ceto dominante e assicurava al clero e ai nobili un ruolo centrale nella vita collettiva. Il loro prestigio derivava dal potere di scrutare la volontà degli dei e di ordinare l'operato umano: per questo, la conoscenza veniva custodita come un segreto nei templi e nei palazzi ed era trasmessa all'interno di una cerchia ristretta con lunghi periodi di studio e d'iniziazione[9].

Il sapere esprimeva una visione complessiva e religiosa del mondo. La previsione del futuro, la liberazione dall'angoscia, l'assicurazione del benessere e della stabilità sociale e politica traevano fondamento dalla capacità di conoscere i fenomeni naturali. Un abbondante raccolto era perciò il risultato delle tecniche terrene e della benevolenza divina, così come una carestia o un'inondazione erano il segno dell'ostilità degli dei e dell'incapacità dei sacerdoti.

 

La religione. Tutte le religioni praticate nelle aree idrauliche furono politeistiche. Gli dei, identificati con le forze naturali come il cielo, il sole, la terra, il fiume e alcuni animali e piante, potevano essere rappresentati in modo realistico (ad esempio, in Egitto, con lo zoomorfismo[10]) o fantastico (ancora in Egitto, con raffigurazioni zooantropomorfiche), con fattezze umane (in Egitto, Mesopotamia ed India, con criterio antropomorfico) o con simboli astratti (in Cina).

All'interno di ogni Stato, le varie divinità coesistevano grazie al loro radicamento regionale, mentre la supremazia di un dio era la conseguenza del prevalere di una città sul resto del territorio. I sacerdoti celebravano i complessi rituali nei templi e creavano miti che, attraverso racconti esemplari e carichi di simbolismi, spiegavano fenomeni della realtà non altrimenti comprensibili, come la nascita e la morte, le inondazioni e le eclissi.

 

La scrittura. Di ogni progresso conseguito dalle civiltà idrauliche, la scrittura fu senza dubbio il più importante e rivoluzionario. Quest'invenzione, databile a partire dal IV millennio a.C., nacque per la necessità di mantenere aggiornata la contabilità dei magazzini nei palazzi e nei templi. Per primi furono i Sumeri a imprimere sulle tavolette di argilla fresca alcuni segni stilizzati, rappresentanti oggetti: una testa di bue, un uccello, un asino. Talvolta, questi pittogrammi venivano combinati per esprimere un'idea astratta: ad esempio, se al segno indicante la donna se ne associava un altro indicante le montagne, il significato diveniva quello di "donne straniere".

Nel III millennio a.C., la scrittura, che nel frattempo era stata adottata con metodo analogo in Egitto, mutò. I segni furono semplificati e ridotti di numero, in modo da rendere più agili e meno faticosi l'apprendimento e la comunicazione; gli ideogrammi, ancora originari della Mesopotamia, ebbero forme a cuneo (da cui la definizione di caratteri cuneiformi) e furono impressi con una canna tagliata su tavolette di argilla fresca. In questo sistema (poi usato con caratteri differenti dall'Egitto all'India e alla Cina, da Creta all'Anatolia e a Micene), ogni segno assumeva significato in base sia all'oggetto che designava sia al suono del nome dell'oggetto stesso. La combinazione dei segni era effettuata non solo associando gli oggetti, ma anche i suoni e addirittura suoni e oggetti insieme, secondo il principio dei rebus enigmistici.

Attività complessa e specializzata, la scrittura fu competenza degli scribi, una casta privilegiata rispetto ai lavoratori manuali. Con il sistema ideogrammatico, questi specialisti estesero l'impiego della scrittura dalla contabilità dei magazzini al catasto (cioè il censimento di uomini, appezzamenti e colture) e, soprattutto, alla registrazione delle notizie più significative, giudicate degne di essere ricordate. I nomi, le gesta e i provvedimenti dei sovrani vennero meticolosamente trascritti, così come, in seguito, i racconti mitologici (ad esempio, l'"Epopea di Gilgamesh", scritta in Mesopotamia nel III millennio a.C.) e le formule rituali (come il "Libro dei morti" egiziano, risalente al XIII sec. a.C.).

 

Il sapere naturale. Ciò che sappiamo della conoscenza della natura accumulata dalle civiltà idrauliche lo dobbiamo ai testi scritti o alle testimonianze archeologiche. Questi popoli si distinsero nell'osservazione del cielo e nell'elaborazione di precisi calendari solari, lunari e dinastici: studiarono i moti di rivoluzione dei pianeti, prestando attenzione alla comparsa di costellazioni indicanti i cambi di stagione, gli equinozi ed i solstizi.

Definire lo spazio e contare il tempo furono l'obiettivo dei sacerdoti. Il cosmo, la natura terrestre e la comunità erano considerati aspetti di una sola entità: la conoscenza degli astri permetteva di prevedere i fenomeni naturali e di ordinare le società, per guidarle verso il benessere; i miti degli dei, che edificavano il mondo facendolo emergere dal caos, trovavano analogie nei re, fondatori di città che avevano assoggettato la natura selvaggia all'uomo.

Contare il tempo con precisione rispondeva al bisogno di definire i cicli naturali e agricoli. Mentre il tempo cosmico era concepito in modo circolare (a somiglianza del ricorrente riproporsi delle stagioni), il tempo delle dinastie era pensato in modo lineare: per questo, furono ideate diverse forme di calcolo, di volta in volta adeguate alla pianificazione delle attività economiche e alla celebrazione della stabilità regale.

Tali conoscenze stimolarono le ricerche nei campi della matematica e della geometria. Non dobbiamo dimenticarci l'autorevolezza che i Greci attribuirono agli Egizi e dei Mesopotamici, capaci di costruire edifici monumentali e di realizzare canali lunghi anche centinaia di chilometri e perfettamente inclinati al fine di regolare il rifornimento idrico e di controllare le piene. Pur non rispondendo a criteri di "scientificità", le loro conoscenze furono adeguate al controllo degli eventi, rappresentati secondo una visione coerente dello spazio e del tempo. I rituali di previsione del futuro erano effettuati con la lettura delle viscere degli animali e del volo degli uccelli: se tutto l'Universo veniva sentito come rispondente ad un'unica legge prestabilita, da un particolare il sacerdote poteva risalire al tutto.

Anche la medicina e la farmacopea[11] compirono grandi progressi e furono utilizzate sia per curare gli uomini, sia per svolgere le funzioni rituali: infatti, le operazioni chirurgiche e gli effetti delle erbe e delle sostanze minerali vennero studiati dagli Egizi con la pratica della mummificazione, per permettere ai defunti di compiere integri l'ultimo viaggio. 


 

[1]Mezzo di produzione. Indica l'insieme degli strumenti e dei fattori che concorrono alla produzione di beni.

[2]Corporazione. Associazione che riunisce tutti coloro che svolgono la stessa attività, per la tutela dei diritti comuni e il rispetto dei doveri reciproci.

[3]Istituzione. Insieme degli organismi e delle norme e consuetudini fondamentali su cui si basa l'organizzazione dello Stato.

[4]Teocrazia. Ordinamento di governo nel quale la sovranità viene esercitata da un'autorità religiosa.

[5]Dinastia. Discendenza di monarchi imparentati fra loro che si succedono alla guida dello Stato.

[6]Diritto. Complesso delle norme, scritte oppure orali e tramandate per consuetudine, che regolano i rapporti fra coloro che appartengono allo Stato ed alle quali è obbligatorio attenersi.

[7]Politica. Questa parola indica il complesso di attività riguardanti l'organizzazione, il funzionamento e il governo di uno Stato.

[8]Valore simbolico e didattico. Il simbolo è un elemento materiale (oggetto, figura animale o persona), considerato rappresentativo di un'entità astratta. La didattica è la disciplina che presiede l'insegnamento.

[9]Iniziazione. Atto che segna l'introduzione di qualcuno a riti segreti, attraverso l'insegnamento.

[10]Zoomorfismo, zooantropomorfismo, antropomorfismo. Sono modi di rappresentare figure con fattezze rispettivamente di animali, di esseri umani ed animali in modo misto, e di esseri umani.

[11]Farmacopea. E' la tecnica di preparazione dei farmaci.

 

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