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pagina aggiornata il 08/12/2003 |
unità 2 - Età del Bronzo tra Oriente ed Occidente |
Liceo - Istituto Professionale
Corso di Storia - Età del Bronzo tra Oriente ed Occidente
Biennio
Percorso avanzato |
I POPOLI E LE CIVILTA' |
La Cananea |
Creta |
La Grecia |
La Penisola Italica |
Cronologia.
Periodo cananeo o paleofenicio |
dal 3.000 al 1.200 a.C. circa |
Periodo fenicio |
dopo il 1.200 a.C. |
Il rapporto con l'ambiente. Lungo le rive orientali del Mediterraneo, in una stretta pianura protetta a Est dai monti del Libano e chiamata terra di Canaan, nel corso del III millennio a.C. si insediarono nomadi di lingua semita.
Il clima caldo e secco e la scarsa disponibilità di suoli fertili impedivano di sostentare comunità numerose, mentre la presenza di popolazioni agguerrite nei territori circostanti ostacolava qualsiasi espansione. In compenso, la possibilità di commerciare con la vicina civiltà egiziana indicava il mare come apprezzabile orizzonte di sviluppo, anche perché le foreste di cedri libanesi fornivano la materia prima necessaria per le navi.
Le caratteristiche di questo ambiente furono decisive per i Cananei. I loro piccoli agglomerati urbani, non distanti gli uni dagli altri e disposti lungo le coste vicino ad approdi naturali, furono la conseguenza della rinuncia alla terraferma e della vocazione per il mare.
L'organizzazione dell'economia. I contadini si ingegnarono a sfruttare le poche superfici coltivabili, ma i risultati che ottennero furono spesso insufficienti, tanto da rendere necessaria l'importazione di derrate alimentari. I prodotti più diffusi furono il frumento e l'orzo, coltivati nella pianura alluvionale, e l'ulivo e la vite, piantati sui pendii collinari terrazzati.
Più importante dell'agricoltura fu l'allevamento di ovini e caprini e ancor maggior fortuna ebbero le attività commerciali. I traffici interessarono un'area estesa dall'India alla penisola iberica e riguardarono sia materie prime come i metalli e il legno di cedro (esportato in Egitto e in Mesopotamia e impiegato per costruire imbarcazioni ed edifici monumentali), sia manufatti, sia generi di consumo, come l'olio, i cereali e la lana. Gli scambi furono gestiti dai governi delle città e da compagnie di mercanti privati; questi ultimi affiancarono alle transazioni pacifiche la pirateria, mediante la quale si appropriarono del carico delle navi straniere e dei loro equipaggi, successivamente venduti come prigionieri di guerra.
Connessa allo sviluppo commerciale fu la crescita dell'artigianato specializzato. Armi e gioielli furono prodotti con il rame di Cipro e dell'Anatolia, lo stagno e il piombo dell'Occidente mediterraneo, l'oro e l'argento dell'Etiopia e dello Yemen e l'avorio dell'India e del Paese di Punt (forse l'odierna Somalia). I vetrai cananei appresero probabilmente dagli Egiziani il segreto della fabbricazione del vetro, ma seppero migliorare la qualità dei manufatti con la sabbia ricca di silicio del loro litorale. La ceramica ebbe un ampio arco di impieghi, da quello domestico a quello funerario, e si segnalò in particolare per le anfore, usate per il trasporto dell'olio e del vino.
I Cananei dovettero la propria fortuna e notorietà soprattutto ai tessuti color porpora: non a caso, i Greci li chiamarono in seguito Fenici (dalla parola greca phoìnix, che significa appunto rosso), associandoli a questa merce di cui erano gli esclusivi distributori. La produzione del colorante, originario della città siriana di Ugarit, avveniva facendo bollire le conchiglie del genere Murex; a seconda del processo di lavorazione e dell'esposizione al sole, i panni di lana potevano assumere una tinta porpora, viola, gialla o azzurra. Siccome il processo di fabbricazione aveva costi elevatissimi (occorrevano infatti diecimila molluschi per un solo grammo di colore), i tessuti colorati furono un bene destinato a pochi e divennero uno status symbol[1] per i ceti dominanti di molti popoli.
Le componenti della società. La popolazione era divisa in classi sulla base della ricchezza posseduta. L'élite urbana derivava il proprio prestigio non dal possesso di terra, ma dal commercio; il ceto subalterno comprendeva i lavoratori manuali liberi, artigiani specializzati e contadini.
I poteri e le istituzioni. Ogni centro urbano diede vita a organismi politici e amministrativi assolutamente autonomi. Per questa ragione, nel primo periodo della Storia cananea nessuno Stato unificò l'intero territorio né furono stipulate federazioni fra le città, fatta eccezione per quella che unì Tiro a Sidone.
Il sistema di governo fu ovunque monarchico. Il re, che in alcuni casi rivendicò la propria origine divina, svolgeva compiti di controllo economico, politico e religioso. In genere, il trapasso dei poteri avveniva per linea ereditaria, tuttavia spesso i sovrani venivano deposti dalle ribellioni di potenti famiglie mercantili.
Il re si serviva di funzionari da lui stesso nominati: un governatore civile, un comandante militare, un supervisore commerciale. Era affiancato da un consiglio di cittadini, la cui azione si svolgeva negli ambiti fiscale, giudiziario e religioso: i suoi membri, detti sufeti (dall'ebraico sofet, giudice), erano eletti fra gli esponenti del ceto commerciale.
L'esercito, che non aveva grande importanza, contava reparti di fanti, arcieri e cavalieri, equipaggiati anche con carri da combattimento. Micidiale era invece la marina da guerra, le cui navi erano dotate di una, due o tre file sovrapposte di rematori per lato e di uno sperone di bronzo (rostro) che, collocato sulla prua, provocava l'affondamento delle imbarcazioni nemiche.
Gli eventi. Per tutto il periodo cananeo o paleofenicio (3.000-1.200 a.C.), la città più potente della Cananea fu Gebel, detta Biblo dai Greci, un centro che vantava antiche relazioni commerciali con l'Egitto e con la Mesopotamia, con Creta e con Micene. A partire da metà del III millennio a.C., la terra di Canaan fu investita da una serie di campagne militari che ebbero come protagonisti le maggiori potenze del Vicino Oriente: il regno siriano di Ebla, l'impero accadico e gli Stati dei Sumeri, degli Hurriti, degli Amorrei e degli Egizi. Raramente queste invasioni si tradussero in un diretto controllo del territorio; più frequentemente imposero agli sconfitti tributi e condizioni di favore negli scambi.
Verso la metà del II millennio a.C., il ruolo egemone di Gebel fu rilevato dalla città di Tiro. Intorno al 1.230 a.C., la sedentarizzazione degli Ebrei, l'invasione dei Popoli del Mare (che portò all'insediamento dei Filistei) e l'espansione degli Aramei arrestarono momentaneamente lo sviluppo e costarono la perdita di importanti territori. Le città cananee, ormai in grado di controllare solo la fascia costiera, furono così costrette dalla carenza di prodotti agricoli e dall'incremento demografico a cercare nuovi spazi nel bacino del Mediterraneo.
Le strutture insediative. Ogni centro urbano era imperniato sul palazzo reale, costruito nel punto più elevato del territorio e fortificato con mura, intorno al quale sorgevano le dimore della popolazione, i magazzini dei mercanti, le botteghe degli artigiani e i templi. Le contrattazioni commerciali avvenivano nella piazza oppure nei dintorni del porto; all'esterno di ogni città, forse per ragioni igieniche, erano invece poste le necropoli.
La religione. Ogni città aveva le proprie divinità, chiamate a tutelare gli interessi collettivi e individuali in ogni momento della vita quotidiana. Gli dei erano associati in triadi: un dio dominante di sesso maschile era affiancato dalla sua sposa, che propiziava la fertilità, e da un figlio, che nasceva e moriva ogni anno e simboleggiava il ciclo vegetativo. A Tiro si veneravano Melqart e Ashtart (trasposizione della mesopotamica Inanna-Ishtar), a Sidone Ba'al ed Eshmun (titolare della medicina), a Gebel, El e Ba'alat (talvolta raffigurata con i tratti delle egiziane Iside e Hathor).
Gli addetti al clero erano raggruppati in collegi e soggetti all'autorità del re o di un sommo sacerdote. I veggenti e i profeti erano preposti alla divinazione, operata con la tecnica della trance e con la consultazione dei visceri di animali sacrificati. I santuari si finanziavano con una "prostituzione sacra": in cambio delle prestazioni sessuali, uomini e donne ricevevano offerte che devolvevano al tempio. I luoghi del culto erano semplici, costituiti da un portico, da un vestibolo e da una cella all'interno della quale era custodita la statua del dio; all'esterno di questo complesso di edifici, si trovavano un altare per i sacrifici, un boschetto e uno stagno. Le feste in onore delle divinità consistevano in processioni, giochi, banchetti e sacrifici.
La scrittura. L'umanità deve ai Cananei la diffusione dell'alfabeto. Contando su soli 32 segni, poi ridotti a 22, la scrittura alfabetica si rivelò molto più agile di quella ideografica e divenne lo strumento ideale dei mercanti, adatto ad aggiornare la contabilità dei magazzini o il diario degli scambi. Pare che il nome e la forma delle lettere abbiano avuto origine dal nome e dalla forma di determinati oggetti, riprodotti graficamente in modo stilizzato. Ogni segno rappresentava un suono, una sillaba o meglio una consonante, visto che le vocali erano pronunciate ma non scritte; combinando le lettere da destra a sinistra, si esprimevano tutte le parole.
Cronologia.
Periodo prepalaziale o minoico antico |
2.600-1.900 a.C. |
Periodo degli antichi palazzi o minoico medio |
1.900-1.700 a.C. |
Periodo dei nuovi palazzi o minoico recente |
1.700-1.380 a.C. |
Periodo postpalaziale o della dominazione micenea |
1.380-1.100 a.C. |
Il rapporto con l'ambiente. L'isola di Creta sorge nel bacino orientale del Mediterraneo, naturale crocevia fra l'area egea, l'Egitto e il Vicino Oriente. Di forma stretta e allungata, è caratterizzata da numerose insenature adatte all'approdo delle navi. L'interno è montuoso, ma gli elevati rilievi consentono l'accumulo persistenti della neve, che assicura ampia disponibilità di acqua dolce anche nei mesi estivi. Fin dall'antichità, la possibilità di irrigare i campi e il clima caldo favorirono le colture, che furono praticate sui pendii terrazzati delle colline e sulle piccole pianure.
L'organizzazione dell'economia. L'agricoltura affiancò al frumento le piantagioni di viti e ulivi. L'allevamento si basò su pecore, capre e maiali. L'artigianato trasformò i metalli (bronzo, oro e argento) e l'avorio in armi e altri manufatti di grande bellezza e funzionalità; altre attività praticate furono la lavorazione della ceramica e la tessitura della lana.
Fu tuttavia il commercio marittimo la grande fonte di ricchezza dei Cretesi, che costruirono una vasta rete di scambi e distribuirono i loro prodotti dall'Egeo ai Balcani, dalla Mesopotamia all'Egitto. Abili costruttori di imbarcazioni adatte al mare aperto, esportarono filati e tessuti di lana, olio e vino, importando i metalli e le altre materie prime di cui la loro terra era priva.
Il loro dominio sul mare (talassocrazia) si estese sulle isole dell'Egeo meridionale e sulle coste dell'Asia Minore e della Grecia. Molti magazzini e scali furono organizzati in terra straniera, piccoli insediamenti destinati sia a instaurare scambi duraturi con le popolazioni indigene sia a facilitare gli approvvigionamenti alimentari durante i lunghi spostamenti in nave.
Le componenti della società. La società cretese era caratterizzata dalla separazione fra gli abitanti dei centri urbani e quelli delle campagne: nelle città risiedevano i membri del ceto dominante, possessori di animali e terre e mercanti, ma anche gli artigiani specializzati, totalmente subalterni per il rifornimento di materie prime e per il controllo sulla destinazione dei manufatti; nelle aree rurali, vivevano i contadini e i pastori, la cui condizione era di sostanziale servitù.
I poteri, le istituzioni e gli eventi. Durante il periodo minoico medio vennero edificati quattro palazzi, su alture che dominavano le pianure ed erano vicine al litorale: due sulla costa settentrionale (Cnosso e Mallia), uno su quella orientale (Zakro) e uno su quella meridionale (Festo).
Non sappiamo se i palazzi fossero indipendenti l'uno dall'altro o se il più esteso fra loro, quello di Cnosso, affiancasse alla superiore ricchezza una vera egemonia politica; tuttavia, di certo ogni palazzo ospitava un principe (minosse), che esercitava il potere politico-religioso e dirigeva le attività economiche all'interno del proprio territorio.
Nessun palazzo era dotato di una cittadella fortificata, quasi non si ritenesse necessario difendersi da aggressioni esterne o da disordini interni: armi, armature e carri, pur menzionati nelle tavolette ritrovate negli scavi, sono rari nelle raffigurazioni e nelle tombe. Inoltre. gli appartamenti reali erano privi di quella monumentalità che contrassegnava i loro corrispondenti nel Vicino Oriente. Tutto ciò lascia supporre che esistesse una concezione del potere fondata su valori armonici e non sull'oppressione brutale, all'insegna di un equilibrio rituale e giocoso, depurato delle passioni, del dolore e della supremazia individuale.
Verso il 1.700 a.C. (agli esordi del periodo minoico recente) una tremenda scossa sismica rase al suolo i palazzi, ma sulle fondamenta di questi vennero presto costruiti nuovi edifici, più grandi e ricchi dei precedenti. Altri palazzi minori, di dimensioni più modeste, sorsero in aree rurali e servirono forse come sedi di governatori: ciò fa presumere che in questo periodo si sia affermata una gestione più articolata del potere, che vide il principe dividere il governo con i nobili locali.
Attorno al 1.450 a.C., l'eruzione vulcanica dell'isola di Thera (Egeo meridionale) fece sentire i suoi effetti devastanti fino a Creta, dove i palazzi furono nuovamente distrutti da incendi. Solo il centro di Cnosso venne ricostruito, ma fu sottomesso verso il 1.380 a.C. dall'invasione degli Acheo-Micenei provenienti dalla penisola ellenica.
Le strutture insediative. Nel periodo minoico medio si definirono le caratteristiche tipiche dell'architettura cretese. I locali dei palazzi erano disposti senza alcun criterio geometrico e, perciò, orientarsi al loro interno risultava difficoltoso per gli stranieri: non stupisce dunque che i Greci rappresentassero questi edifici come dei labirinti.
Nel periodo minoico recente, il palazzo di Cnosso raggiunse la superficie di 22.000 metri quadrati. Le molteplici stanze degli appartamenti dei principi (con sale del trono, camere da letto e bagni) si susseguivano alle aree del culto, dei banchetti e dei ricevimenti; in una zona diversa vi erano numerosi laboratori e magazzini. Il rifornimento d'acqua corrente e gli scarichi fognari, di cui i Cretesi furono gli inventori, erano garantiti da apposite condutture.
La religione. La divinità principale era la cosiddetta dea-Madre, raffigurata in varie versioni: sotterranea e circondata da serpenti, terrena e attorniata da leoni, celeste e accompagnata da uccelli e stelle. Insieme con la dea-Madre venivano venerati il toro, protettore della fecondità e una coppia di fanciulli, simbolo dell'infinito rinnovamento della natura. Accanto a queste divinità, comparvero schiere di spiriti-demoni, intermediari fra l'uomo e gli esseri celesti.
I luoghi di culto si trovavano sia nei palazzi sia nelle case dei contadini e, spesso, anche sulle cime delle montagne e nelle grotte. Invocata con una preghiera, un sacrificio o una danza con un toro, la divinità appariva a coloro che partecipavano al rito in stato di estasi e la sua visita era giudicata di buon auspicio.
La scrittura. La prima forma di comunicazione scritta, datata a partire dal periodo minoico antico, fu una scrittura ideografica, detta geroglifica per analogia con il sistema egiziano, e impiegata per testi di carattere religioso.
Nel minoico recente, si sviluppò la scrittura Lineare A, in cui la maggior parte dei segni esprimeva sillabe; questa grafia, tracciata su tavolette di argilla cruda, era utilizzata nei palazzi per tenere la contabilità dei magazzini. La difficoltà di comprenderla pienamente sta nel fatto che l'antica lingua cretese è tuttora in gran parte incomprensibile.
Alla fine del minoico recente, comparve un nuovo tipo di grafia, detto Lineare B, le cui incisioni rinvenute negli scavi di Cnosso sono state completamente decifrate in quanto scritte in greco-miceneo.
Cronologia.
Periodo proto-elladico |
3.000-1.900 a.C. circa |
Periodo medio-elladico |
1.900-1.600 a.C. circa |
Perido tardo-elladico o della civiltà acheo-micenea |
1.600-1.150 a.C. circa |
Il rapporto con l'ambiente. Il clima, le caratteristiche geo-fisiche e la qualità delle risorse fecero sì che, durante la preistoria e il primo periodo storico, la penisola ellenica fosse parte organica del bacino del mar Egeo, così come pure le numerosissime isole (Cipro, Creta, gli arcipelaghi delle Sporadi, delle Cicladi e del Dodecanneso) e il litorale dell'Asia Minore.
Il territorio della Grecia, propaggine meridionale della penisola balcanica, è segnato da aspre catene montuose, incise a raggiera da un gran numero di valli, i cui i valichi sono però solitamente percorribili con difficoltà. Se i transiti terrestri risultarono perciò penalizzati fin da tempi molto antichi, la presenza di coste frastagliate e la ricchezza di approdi naturali diedero impulso alle comunicazioni via mare.
Le comunità insediate nelle diverse regioni greche (la Tessaglia a Nord; l'Acarnania, l'Etolia, la Locride, la Focide, la Beozia e l'Attica al centro; l'Elide, l'Acaia, l'Arcadia, l'Argolide, la Messenia e la Laconia a Sud, nel più ampio comprensorio del Peloponneso) furono così contraddistinte da due sentimenti fra loro contrastanti: da una parte, quello dell'appartenenza a uno stesso mondo, dall'altra, quello dell'ostinata rivendicazione della propria particolarità.
Salvo rare eccezioni, l'ambiente non metteva a disposizione risorse adeguate a sostentare popolazioni numerose: infatti, i metalli scarseggiavano e le attività agricole erano ostacolate dalle estati precoci e secche e dagli inverni freddi, dai suoli pietrosi e aridi e dalla carenza di pianure alluvionali. D'altro canto, la vicinanza dell'Oriente stimolava i commerci marittimi, favoriti anche dalle isole adatte allo scalo dei naviganti, e li indicava come principale strumento del progresso.
L'organizzazione dell'economia. La cerealicoltura e l'allevamento del bestiame, la lavorazione della ceramica e la metallurgia (che, dal 3.000 a.C., immise l'area ellenica nell'Età del bronzo) furono apprese dalle civiltà del Vicino Oriente. Per altro, in Grecia l'agricoltura rimase a lungo ancorata a uno stadio primitivo e solo nella prima metà del III millennio a.C., grazie all'influsso dei Cretesi, conobbe le colture della vite e dell'ulivo; lo stesso allevamento non fu certo un'attività specializzata, visto che era praticato allo stato brado, lasciando libero il bestiame (soprattutto ovini, caprini ed equini) e spostandolo stagionalmente.
L'avvento della civiltà acheo-micenea stimolò e riorganizzò l'economia. Dalla seconda metà del III millennio a.C., si verificò un aumento della quantità di metallo usata (bronzo, piombo e argento) e un ampliamento della gamma dei manufatti. La dipendenza, pur parziale, dal metallo richiese l'approvvigionamento in terre lontane di questa materia prima: alla fine del III millennio a.C., i Micenei organizzarono l'estrazione e la fusione del rame in Transilvania e nella penisola iberica e acquistarono altro rame a Cipro e oro in Egitto.
Il volume degli scambi aumentò dopo che i Micenei occuparono Creta e ne rilevarono la rete dei traffici su cui era stata fondata la talassocrazia: l'ambra prese ad affluire dal remoto mar Baltico, le spezie e l'avorio dall'Estremo Oriente e dall'Africa tramite la mediazione della Mesopotamia e dell'Egitto. Svariate basi commerciali vennero stanziate sull'isola di Cipro, nell'Egeo (isola di Rodi), in Asia minore (Mileto), in Siria e nell'Italia meridionale (Puglie); le lavorazioni artigianali si specializzarono sempre più, dalla metallurgia (armi e gioielli) alla tessitura (lana e lino), dalla ceramica alla carpenteria navale.
L'iniziativa dei monarchi micenei condizionò tutti i settori dell'economia. Gran parte della terra, divisa in appezzamenti, era a disposizione del re, degli addetti al culto, dei nobili guerrieri e dei funzionari dello Stato; la parte restante dei coltivi era posseduta dalle comunità rurali, che dovevano però pagare tributi in natura al palazzo; da quest'ultimo dipendevano i mercanti e gli artigiani, sia per il rifornimento di materie prime sia per la destinazione dei prodotti finiti.
Le componenti della società. Nei periodi proto e medio elladico, la società era già assai stratificata, con i nobili guerrieri, possessori di terra e di bestiame, che dominavano gli artigiani e i contadini. Durante l'elladico tardo, la nobiltà guerriera (lawòs) rimase preminente nella compagine sociale e, al suo interno, emersero le figure del re e dei membri della corte (heketài); su un livello intermedio si collocò la burocrazia dei funzionari e degli scribi, mentre il ceto subalterno fu composto dagli artigiani specializzati urbani e dai contadini e dai pastori delle comunità di villaggio (dàmos).
I poteri e le istituzioni Fra il 2.200 e il 2.100 a.C., varie migrazioni dei nomadi di lingua indoeuropea travolsero le comunità indigene. I primi gruppi di invasori, gli Ioni, si insediarono in Beozia e in Tessaglia; poi, l'arrivo degli Eoli in Tessaglia e degli Achei nel Peloponneso sospinse gli Ioni nell'Attica e nell'isola dell'Eubea. In tutta la penisola ellenica si diffusero Stati monarchici di ridotte dimensioni, il cui territorio coincideva con i centri urbani (roccaforti) e con i distretti rurali; fra questi regni s'instaurò una condizione di neutralità armata, turbata solo da rari episodi di aggressione.
Ogni Stato aveva come capo un re (wanax), titolare dei poteri di governo, giudiziario e religioso. Pur governando in nome di una divinità, egli non esercitava un'autorità assoluta e doveva rendere conto del proprio operato all'assemblea dei nobili guerrieri; l'importanza di quest'ultima componente sociale è testimoniata anche dalla presenza di un condottiero dell'esercito (lawagetas) accanto al monarca. Il territorio dello Stato era diviso in distretti affidati a funzionari (basilèus), che erano coadiuvati da consigli degli anziani (gherusìa); ogni villaggio compreso nel distretto era a sua volta retto da un capo, assistito da un comitato. Oltre che dai governatori, l'apparato burocratico era formato dagli addetti al funzionamento dell'artigianato e dagli scribi che contabilizzavano i tributi.
La legge e l'onore. Il mondo miceneo si riconosceva in valori eroici, tipici di guerrieri che tra di loro si consideravano alla pari. Le norme che regolavano i rapporti tra nobili, più che essere stabilite da leggi scritte, erano sancite per consuetudine da rigidi comportamenti. Omero racconta che i guerrieri si porgevano attestati di stima per rafforzare le alleanze; inoltre, sappiamo che ogni nobile era sottoposto al costante giudizio degli altri suoi simili. Non stupisca, dunque, constatare che la guerra di Troia sia scoppiata per il rapimento di una fanciulla, che Achille si sia ritirato dal conflitto per aver ricevuto un torto dal proprio re e che Ettore abbia affrontato il duello mortale per non perdere l'onore.
Sull'onore (timé) si fondavano dunque tanto la politica estera quanto l'ordine interno. Il timore di essere additati al pubblico disprezzo era il sentimento che accompagnava ogni nobile come un'ombra. Riferendosi a studi di antropologi americani, il filologo E. R. Dodds definisce come "civiltà della vergogna" quella in cui il controllo sociale si esercita non tanto con la formulazione di divieti, quanto attraverso modelli di comportamento positivi; in essa, l'autore di una trasgressione non prova senso di colpa o timore per la pena, ma vergogna per non essersi mostrato all'altezza del proprio ruolo sociale e per aver perduto la stima della collettività.
Nella civiltà micenea, la giustizia, intesa come codice d'onore, aveva come riferimento l'ambito dei consanguinei. Un torto ricevuto veniva lavato con la ritorsione violenta da parte dei familiari della vittima e, in caso di omicidio, la risposta consisteva nella vendetta di sangue; d'altra parte, il mancato rispetto dell'onore di un nobile richiedeva gesti riparatori come l'offerta di doni, che restituissero la pubblica stima all'offeso. "Gli eroi vantavano come segni della loro prodezza i doni che avevano ricevuto e quelli che avevano dato" (M.I. Finley): la quantità di doni, merce simbolica per ricomporre una contesa, era perciò misura del valore dell'uomo (cfr. La ricerca e le fonti: " Omero e la civiltà della vergogna").
Gli eventi. Come abbiamo visto, l'iniziativa militare degli Achei (detti anche Micenei) portò all'occupazione di Creta (1.400 a.C. circa) e di Cipro.
Nel XIII secolo a.C. essa investì anche l'Asia minore. I rapporti con l'impero hittita furono improntati ai princìpi del buon vicinato e dello scambio, anche perché le mire espansionistiche di quella grande potenza anatolica si erano dirette verso la più ricca Siria. Diversamente, la fiorente città-Stato di Troia (situata nelle vicinanze dello stretto dei Dardanelli, in posizione strategica fra il mar Nero e l'Egeo) venne aggredita dai Micenei, in quanto ostacolava i commerci con l'area danubiana: la guerra di Troia, narrata nei poemi omerici dell'Iliade e dell'Odissea, durò secondo la tradizione dieci anni e si concluse con la distruzione della città asiatica.
Proprio mentre stava avviandosi a divenire una potenza riconosciuta anche fuori dall'Egeo, la civiltà micenea decadde per la concomitanza di varie cause: una prolungata siccità indusse cattivi raccolti e carestie, indebolendo la base produttiva; verso il 1.200 a.C., i Popoli del mare, nomadi di lingua indoeuropea provenienti dal bacino del Danubio, invasero la penisola ellenica compiendovi saccheggi e distruzioni; un secolo più tardi, i Dori, altro popolo di lingua indoeuropea precedentemente stanziato in Epiro (Nord-Ovest della Grecia), penetrarono nel Peloponneso e lo occuparono.
Le strutture insediative. Durante il periodo elladico medio, alcuni insediamenti di villaggio, situati in genere su alture poco elevate e prossime a laghi e fiumi, si trasformarono in piccole città, provviste di mura e di fortificazioni possenti. Nel periodo elladico tardo, i principali centri urbani micenei (Micene, Argo, Pilo e Tirinto) si presentavano come vere roccaforti. Perno degli insediamenti era il palazzo reale, articolato fra il megaron (letteralmente il "focolare", costituito da un atrio o vestibolo sorretto da colonne), una lunga stanza principale e un magazzino retrostante in cui venivano conservati i tributi.
La religione. Sappiamo molto poco dei culti praticati durante i periodi elladici antico e medio. Possiamo solo supporre che alle divinità più antiche, di origine mediterranea e incentrate sulla figura della Madre-terra, si siano sovrapposti altri dei, di matrice indoeuropea e che valorizzarono forze celesti e maschili.
Per quanto riguarda il periodo elladico tardo, invece, abbiamo notizie più chiare. Stando alla tradizione omerica (pur trascritta tra quattro e sei secoli dopo), in questa fase presero forma i principali dei del pantheon greco: Zeus, dio del cielo e delle tempeste; Hera, sua sposa; Afrodite, dea dell'amore; Gaia, dea della terra; Demetra, dea della fertilità dei campi; Artemide, dea della caccia; Atena, dea della sapienza e della pace; Poseidone, dio del mare; Ares, dio della guerra; Febo, dio del sole e della poesia; Hermes, messaggero degli dei e guida nel regno dei morti; Efesto, dio del fuoco e della metallurgia.
Anche se nella civiltà micenea non vi fu una casta sacerdotale analoga a quelle del Vicino Oriente, tuttavia esistettero sacerdoti (téreta) che affiancavano il re nello svolgimento dei riti e appartenevano alla nobiltà guerriera. I templi erano pochi, perlopiù situati nei pressi di centri poco importanti, e di solito le funzioni religiose venivano celebrate all'aria aperta. La divinazione aveva una notevole diffusione e si serviva sia dell'interpretazione dei sogni sia dell'osservazione dei visceri di animali sacrificati e delle manifestazioni naturali (come i lampi e i tuoni, il canto e il volo degli uccelli).
La scrittura. La lingua greca, che nacque dalla fusione fra gli idiomi degli indigeni e quelli degli invasori indoeuropei, non fu adottata in modo uniforme su tutta la penisola, ma si affermò in tre fondamentali varianti dialettali, corrispondenti alle aree ionica, eolica e achea. In seguito, l'invasione dei Dori sostituì l'acheo (o miceneo) con il dorico.
I Micenei appresero dai Cretesi la scrittura Lineare B (cfr. P.D. L'Età del bronzo fra Oriente e Occidente. U.D. Civiltà e culture mediterranee. I popoli e le civiltà: Creta). Negli scavi di Micene e di Pilo sono state rinvenute migliaia di tavolette di argilla essiccate al sole, contenenti informazioni di carattere amministrativo-contabile e nomi di divinità; non si conosce invece alcun documento di tipo letterario, anche se sappiamo che i rapsodi (per questo termine, cfr. P.D. L'Età del bronzo fra Oriente e Occidente. U.D. Oriente. Le aree instabili: i nomadi semiti e indoeuropei) vagarono di corte in corte, narrando in versi le gesta di dei, eroi e sovrani, quelle stesse che sarebbero state raccolte in forma scritta nei poemi omerici fra l'VIII e il VI secolo a.C..
Cronologia.
Inizio del II millennio a.C. |
Inizio dell'Età del bronzo; |
|
prima invasione di popoli dell'entroterra europeo. |
Metà del II millennio a.C. |
Cultura delle terramare. |
XV secolo a.C. |
Inizio della civiltà appenninica. |
XIII-XII secolo a.C. |
Fondazione di colonie micenee in Puglia. |
XIII secolo a.C. |
Seconda invasione di popoli dell'entroterra europeo; inizio della cultura dei campi di urne. |
Il rapporto con l'ambiente. La penisola italica, posta al centro del mar Mediterraneo, si trova più lontana dal Vicino Oriente di quella ellenica. Per questo motivo, la domesticazione di vegetali e animali vi si affermò con notevole ritardo, così come accadde per la sedentarietà, le lavorazioni della ceramica e dei metalli, il commercio e l'urbanizzazione.
In compenso, le colture dei cereali, della vite e dell'ulivo e l'allevamento si radicarono meglio che in Grecia, grazie alle condizioni ambientali che garantivano una maggior disponibilità idrica. Tale disponibilità risultò però addirittura eccessiva nella pianura padana, i cui suoli erano acquitrinosi e inadatti alla cerealicoltura e i cui insediamenti erano costantemente minacciati dalle alluvioni del Po.
L'enorme sviluppo costiero, la presenza di isole, l'abbondanza di approdi sicuri facilitarono i contatti con le civiltà del Mediterraneo orientale; d'altra parte, i valichi delle Alpi orientali si prestarono alla penetrazione di genti dell'entroterra europeo. In entrambi i casi, le frequentazioni di popoli stranieri servirono a far conoscere modelli di vita differenti.
L'organizzazione dell'economia. La coltivazione dei cereali (orzo e frumento), l'allevamento (capre, pecore, buoi e maiali) e la ceramica entrarono a far parte della produzione solo a partire dal periodo fra VI e V millennio a.C.. Queste innovazioni non furono il risultato dell'autonoma evoluzione delle popolazioni autoctone, ma furono introdotte nelle Puglie da gruppi di emigranti provenienti dalla Grecia attraverso il mar Adriatico; dalle Puglie, le nuove e progredite tecniche si diffusero verso Settentrione, in Molise, Abruzzo e Marche, e verso Occidente, in Basilicata, Calabria e Sicilia. Il Nord Italia, la Toscana, l'Umbria e il Lazio subirono invece l'influsso di una seconda corrente migratoria, proveniente dai Balcani settentrionali e penetrata attraverso le Alpi Giulie.
Dopo che la cerealicoltura e l'allevamento si erano diffusi in tutta la penisola, al principio del II millennio a.C. altre genti straniere introdussero la metallurgia. Si trattò di mercanti dell'area anatolico-egea e Cananei, che si concentrarono nelle regioni più ricche di metalli, come la Toscana e la Sardegna e che influenzarono tutta l'Italia centro-meridionale. In particolare, la Sardegna godette dei vantaggi risultanti dall'essere un naturale crocevia di scambi marittimi fra la penisola iberica, il Mezzogiorno francese e l'Italia: mentre la cerealicoltura vi fu adottata in ritardo rispetto alla penisola e la produzione alimentare rimase a lungo basata sull'allevamento, i commerci e l'estrazione di minerali stimolarono lo sviluppo. Anche le coste della Sicilia furono interessate da frequenti soste di mercanti micenei, come dimostrano gli ornamenti e le ceramiche ritrovate negli scavi della parte orientale dell'isola.
Contemporaneamente all'arrivo dei "cercatori di metalli" nell'Italia centro-meridionale e sulle isole, gruppi di bellicosi allevatori e mercanti giunsero nella pianura padana dall'Europa continentale, talvolta entrando in conflitto con gli agricoltori indigeni, costretti ad abbandonare la pianura e a rifugiarsi in luoghi di difficile accesso, talaltra convivendo pacificamente con essi e trasformandosi in coltivatori. L'arrivo di questi immigrati di lingua indoeuropea divise di fatto la Padania in due aree: in Lombardia, Emilia e Veneto, si affermarono la metallurgia del rame e gli scambi, mentre in Piemonte e Liguria continuò la preesistente tradizione produttiva, basata su cerealicoltura e allevamento. Tale situazione proiettò in una dimensione di sviluppo la zona orientale e confinò quella occidentale in una povertà culturale ed economica che si sarebbe protratta per oltre un millennio.
Una cultura originale fu quella delle terramare (terre grasse), sviluppatasi in Emilia verso la metà del II millennio a.C.. Si trattò di società di villaggio, la cui agricoltura sfruttava il potere fertilizzante di ricchi depositi alluvionali di sostanze organiche e in cui era praticata la lavorazione del bronzo, com'è provato dal ritrovamento in ogni centro abitato di fucine dotate di forme di pietra entro cui veniva colato il metallo fuso. Forse per un incremento della piovosità che rese impraticabili i suoli, i terramaricoli dovettero abbandonare la pianura padana e rifugiarsi sull'Appennino tosco-emiliano. Da quest'area, la loro cultura si estese progressivamente verso Sud, fino a ridefinirsi come cultura appenninica.
Sulla dorsale appenninica, continuò a essere attuata la lavorazione del bronzo, l'agricoltura ridusse la propria importanza e l'allevamento transumante acquisì un peso notevole: importanza: il latte di pecore e capre veniva trasformato in formaggi di vario tipo grazie alle avanzate tecniche di trasformazione alimentare.
Fra XIII e XII secolo a.C., i contatti fra popolazioni dell'Italia centro-meridionale e mercanti micenei divennero più frequenti e stabili, tanto da far parlare gli storici di un'anticipazione di quel fenomeno di fondazione di colonie che avrebbe interessato la nostra penisola a partire dall'VIII secolo a.C.. Una seconda ondata di invasori provenienti dall'entroterra europeo si abbatté sull'Italia agli inizi del XIII secolo a.C., portando nuovi rivoluzionamenti nella geografia etnica del nostro Paese.
Le componenti della società. Le primitive società di agricoltori e allevatori furono organizzate secondo schemi tribali, con rapporti fra individui regolati da un sostanziale egualitarismo. Una prima, timida mutazione di questa elementare struttura intervenne negli insediamenti terramaricoli, dove la massiccia presenza di attrezzature per lavorare i metalli fa pensare all'esistenza di artigiani specializzati; pur non godendo di alcun particolare privilegio, questi lavoratori manuali arricchirono il panorama sociale di un ruolo autonomo, distinto da quello dei produttori di alimenti.
Gli insediamenti. L'introduzione delle tecniche agricole e d'allevamento stimolarono la sedentarietà. I primi villaggi furono costituiti da capanne semiscavate o del tutto affioranti, di forma ellittica o circolare e di diametro variante da 2 a 3.5 metri, con il focolare sistemato all'aperto in piccole conche. Talvolta, le abitazioni, a uno o due locali, vennero collegate da passaggi scavati nel terreno.
Durante l'Età del bronzo, alcune aree furono interessate da rilevanti novità. In Sardegna vennero edificate dimore a pianta circolare, semicircolare o rettangolare, con una copertura di travi disposte a raggiera o a spiovente e sostenute da colonne. Nell'area padana, i villaggi sorsero in prossimità dei corsi d'acqua: le palafitte (capanne innalzate su pali conficcati nel terreno) furono edificate su suoli umidi o acquitrinosi; altre costruzioni in legno vennero invece collocate in terreni bonificati con terrapieni e fossati; in altri casi, le abitazioni vennero infine erette sulle pendici delle montagne o delle colline. In Friuli fu praticato un particolare tipo di insediamento, detto castelliere, edificato su alture e cintato con mura a secco, larghe fino a sei metri ed alte anche otto; le capanne, di forma rotonda, furono realizzate in pietra.
Verso la metà del XIII secolo a.C., popolazioni straniere invasero la Sicilia, distruggendo i villaggi costieri e costruendo, in particolare presso Tapso e Pantalica, palazzi di tipo miceneo.
Le sepolture. Nel Neolitico, le inumazioni furono individuali e praticate all'interno degli abitati, in fosse circondate da pietre o in cavità a forma di capanna.
All'inizio dell'Età del bronzo, questa tradizione fu affiancata dalle tombe familiari, contenenti i resti di più individui e adoperate per generazioni, in cui le salme erano corredate con oggetti d'uso quotidiano (vasi, ornamenti, armi...). In alcuni casi, le celle scavate nel calcare (ipogei) avevano un accesso a pozzo o a galleria chiuso da un muretto di pietra; in altri, i defunti vennero deposti, con il corpo intatto o precedentemente scarnificato, all'interno di grotte. In Sardegna, si diffusero i dolmen, celle mortuarie costruite disponendo verticalmente tre lastroni di pietra e ricoprendoli con un quarto lastrone orizzontale; le celle, il cui ingresso fu orientato tenendo conto del movimento del sole nel cielo, furono racchiuse in grandi cerchi di sassi (di diametro variabile da 8.50 a 5 metri) semplicemente depositati sul terreno.
Con la cultura delle terramare si affermò per la prima volta la cremazione dei defunti, le cui ceneri erano dapprima deposte in urne di ceramica, ricoperte da una ciotola capovolta o da una semplice pietra, e poi seppellite; questa tradizione s'affermò forse per proteggere i defunti dalle frequenti inondazioni. I campi di urne, grandi cimiteri in cui venivano sotterrate le ceneri dei morti, si diffusero dal XIII secolo a.C. in tutta la Padania e, nell'arco di tre secoli, raggiunsero l'Italia meridionale seguendo la dorsale appenninica.
[1]Status symbol. Quest'espressione indica il simbolo che esprime il raggiungimento di una condizione economico-sociale da parte di qualcuno.
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Unità 2 - Sezione 4: Civiltà e culture mediterranee |
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