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pagina aggiornata il 01/10/2003 |
unità 1 - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola |
Liceo - Istituto Professionale
Corso di Storia - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola
Biennio
MATERIALI PER L'APPROFONDIMENTO - 2 |
Percorso avanzato |
Il rito |
Pensiero selvaggio e magia |
Le culture litiche |
IL RITO.
Caratteristiche e funzioni. Il rito è un complesso di gesti o di segni capaci di aiutare l'individuo o la collettività a superare momenti critici; inoltre è un codice di comportamento che appartiene alle culture antiche, ma anche a quelle moderne, come dimostrano i gesti del togliersi il cappello prima di entrare in casa o dello stringersi la mano in segno di saluto.
Nel pensiero primitivo, la funzione del rito è strettamente connessa al sacro e al magico: si brucia un oggetto, si salta un fuoco, ci si percuote, si accendono sostanze profumate, si canta o si sta in silenzio, instaurando una comunicazione con le forze della natura, con gli spiriti o con gli dei, in grado di allontanare il male o facilitare il conseguimento di un fine desiderato.
Un rito è tale solo se condiviso da tutti i praticanti e, proprio per questo, rende possibile la partecipazione di molti a esperienze religiose, mitiche[1], che in altro modo sarebbero difficilmente spiegabili e comunicabili. La sua efficacia dipende dall'osservanza di rigidi codici di comportamento: se non ci si attenesse a regole particolari, una danza non potrebbe mai favorire la venuta della pioggia e si trasformerebbe solo in un movimento fine a se stesso. Nelle cerimonie di carattere magico-religioso, l'essenzialità del rito assegna potere al gesto, che può rendere reale ciò che rappresenta; la stessa magia può manifestarsi come conoscenza di una formula.
Il rito può svolgere diverse funzioni. I riti propiziatori tendono a favorire la fertilità delle donne, la crescita della vegetazione o la moltiplicazione delle prede cacciate; i riti di espiazione servono a liberare il presente da colpe passate; i riti di esorcismo allontanano i male; i riti d'iniziazione o di passaggio rendono meno traumatico il cambiamento di ruolo dell'individuo nella comunità.
I riti di passaggio. La vita associata degli uomini è caratterizzata da ciclici mutamenti di condizione (la nascita, la pubertà, il fidanzamento, il matrimonio, la morte), segnati dall'abbandono di ciò che si è stati e dall'inserimento in nuovi contesti. Tale modello può essere applicato all'ospitalità, al lavoro e allo stesso alternarsi delle stagioni.
Ogni società si preoccupa di fare in modo che il momento del "passaggio" avvenga senza crisi e disagi e, quindi, predispone riti che controllino i cambiamenti. Il giovane che diviene adulto può venir allontanato dal villaggio, sottoposto a prove e, infine, inserito nel gruppo dei guerrieri; spesso, un banchetto o un patto di sangue sanciscono il nuovo status dell'iniziato.
Dappertutto la struttura dei riti di passaggio è scandita da uno schema fisso: prima si celebrano i riti di separazione o di congedo dal passato; poi, quelli liminari (di confine) favoriscono il maturare delle condizioni necessarie a che sia assunto il nuovo ruolo; infine, quelli d'aggregazione celebrano l'avvenuto inserimento.
Se ancor oggi la convivenza è sottoposta a continui meccanismi di passaggio (battesimo, matrimonio, esami), il mondo dei popoli primitivi assegnava cruciale importanza ai momenti critici, giacché riteneva che avessero sempre a che fare con il sacro e con gli dei, con quell'equilibrio da cui dipendeva la sopravvivenza di tutti.
PENSIERO SELVAGGIO E MAGIA.
Il pensiero selvaggio. Gli antropologi hanno a lungo dibattuto sul pensiero dei primitivi, usufruendo delle testimonianze lasciate dai popoli vissuti nel passato e prodotte dalle tribù attualmente esistenti e connotate da usanze primitive.
Questo patrimonio culturale è stato interpretato da B.Malinovski come ingenuo, rivolto a una conoscenza limitata ai dati dell'esperienza e riguardante il soddisfacimento di immediati interessi materiali; anche E.Evans-Pritchard ha sostenuto che i primitivi "hanno delle conoscenze ben funzionanti per quanto riguarda il loro benessere. Al di là di questo, esse non hanno per loro nessun interesse scientifico, né un richiamo sentimentale". Altri studiosi, come C:Lévi-Strauss, hanno invece rilevato come i "selvaggi" siano in grado di elaborare e sistematizzare conoscenze empiriche che fanno pensare a una scienza del concreto.
Oggi si tende a respingere quelle posizioni che vorrebbero minimizzare le capacità dei primitivi, evidenziando come essi siano in grado d'esprimere il senso del bello, i ragionamenti astratti e le teorie adeguate alla realtà in cui vivono. Ogni visione del mondo, anche la più semplice, può dunque apparire complessa e avere dietro sé un denso passato.
La magia. L'uso di tecniche magiche è una costante dei popoli primitivi, utile per governare gli aspetti oscuri della natura e della vita. Seppure i confini siano sottili, la magia si differenzia dalla religione: nella prima, il mago o, in altri casi, il singolo individuo agiscono direttamente per ottenere lo scopo desiderato; nella seconda, il sacerdote, conscio della sua incapacità, intercede presso gli dei affinché concedano ciò che solo essi possono dare.
Sono state individuate due forme di magia. La prima viene detta simbolica o omeopatica. I suoi principi si basano sul fatto che rappresentare vuol dire rendere reale e che il simile agisce sul simile. L'atto magico riproduce ciò che si desidera e provoca lo stesso effetto sulla persona o sull'animale a cui è diretto: per catturare la preda, i cacciatori riproducono in una danza le varie fasi della caccia, oppure disegnano immagini con abbondanza di animali e, in questo modo, credono che la rappresentazione simbolica si trasformi in realtà. Le eclissi vengono spesso interpretate come presagio negativo, in quanto la luce, fonte di vita, s'affievolisce; per questo, come si fa nel giorno di San Giovanni, accendere fuochi serve a compensare la mancanza.
La seconda, detta simpatica o contagiosa, ritiene che compiere azioni su una parte di una persona o su un oggetto di sua proprietà possa, anche a distanza, provocare in quella persona l'effetto procurato alla parte. Nella magia nera e negli esorcismi si sotterra, si brucia o si agisce su qualcosa (oggetto, immagine, capelli) di proprietà di un amico o nemico, affinché questi, distante o vicino che sia, subisca gli stessi effetti. Anche il cannibalismo si fonda sul principio che mangiare il corpo di un uomo coraggioso si traduca nell'appropriarsi delle sue capacità impedendone il ritorno.
Interpretazioni e valutazioni. Secondo alcuni studiosi, come J.Frazer, M.Mauss, L.Lévi-Bruhl ed E.Cassirer, la magia utilizzerebbe in modo scorretto i principi di associazione, di causa-effetto, di spazio e di tempo. J.Frazer sostiene che "sin dai tempi antichi, l'uomo è stato impegnato nella ricerca di regole generali, per mezzo delle quali potesse volgere a proprio vantaggio l'ordine dei fenomeni naturali. (...). Alcune sono vere e costituiscono le arti, altre sono false e costituiscono la magia (...). Ogni magia è necessariamente falsa e sterile, perché se mai diventasse vera e fruttuosa, non sarebbe più magia, ma scienza".
Questa contrapposizione tra pensiero razionale dei moderni e pensiero irrazionale dei primitivi giudica anziché aiutare a capire e sembra figlio di pregiudizi: quello secondo il quale la storia del pensiero è stata segnata da un continuo e graduale affermarsi di idee nuove, migliori delle precedenti; quello per cui nelle nostre società, regolate dalla ragione, il bisogno di certezza non si serve più di spiegazioni rassicuranti e protettive.
A ben guardare, la ragione, come la religione e la magia, consiste in un insieme di regole accettate dalla comunità e adatte ad affrontare l'incertezza della vita. Come chiarisce E.De Martino, sovente l'efficacia di queste regole risiede nel consenso a loro tributato: là dove si ha fede nella magia, questa funziona; là dove dove si crede nella ragione, questa offre risultati. Lo sanno bene i medici che si trovano ad operare con i metodi del nostro mondo in comunità primitive, in cui la salute è ancora protetta da stregoni, curanderos o sciamani.
Forse, solo collegando le credenze magico-religiose con le società che le hanno prodotte, se ne coglie l'importanza culturale. Esse raccontano come possano vedere il mondo comunità che non sono migliori nè peggiori della nostra, solo diverse. Si scopre che forme di sapere sistematico convivono con pratiche che a noi sembrano irrazionali, ma che, in fondo, presuppongono solo un diverso concetto di realtà. Se si crede che i sogni siano parte della realtà, non c'è da stupirsi che uno stregone motivi le proprie cure con l'averne avuto comunicazione in sogno.
LE CULTURE LITICHE.
Una definizione di cultura. Il termine cultura, proprio dell'etnologia, è stato adattato dagli studiosi di preistoria: mentre i valori, le conoscenze ed i comportamenti costituiscono i punti di riferimento degli etnologi, i manufatti sono considerati gli elementi che caratterizzano la cultura di una popolazione preistorica.
I reperti che si ritengono più significativi per definire una cultura sono quelli che meglio caratterizzano le scelte tecnologiche ed estetiche (cioè riguardanti il gusto per ciò che si ritiene bello) dei costruttori. Il concetto di cultura coincide dunque con quello di un'unità stilistica racchiusa in uno spazio ed in un tempo definiti.
In questa sede, tuttavia, prenderemo più che altro in considerazione le scelte tecniche inerenti alla produzione di utensili.
La cultura olduvaiana. Si sviluppò a partire da 2 milioni di anni fa in Africa, nel Nord della Tanzania (area della gola di Olduvai), e fu l’elemento distintivo di Homo habilis. E’ caratterizzata da ciottoli scheggiati grossolanamente, chiamati chopper se lavorati su una sola faccia e chopping tool se su due. Gli utensili ottenuti sono raschiatoi, funzionali a ripulire le pelli di animale.
La cultura acheuleana. Anche questa cultura apparve in Africa centro-orientale e in seguito si diffuse in Europa occidentale (i primi reperti furono trovati nel sito di Saint-Acheul, in Francia). Si considera protagonista di questo tipo di manifattura Homo erectus, in un arco di tempo che va da un milione e mezzo a mezzo milione di anni fa.
L'oggetto che meglio contraddistingue questa cultura è la cosiddetta ascia a mano. La lama è costituita da un ciottolo lavorato sulle due facce maggiori per renderlo piatto e aumentare la lunghezza dello spigolo tagliente. Per la forma, che ricorda quella di una grossa mandorla, questo ciottolo lavorato prende il nome di amigdala (dal greco amygdale, mandorla).
Successivamente, anziché essere direttamente lavorato, il ciottolo veniva suddiviso in diverse parti successivamente rifinite e trasformate in raschiatoi e coltelli di varia foggia e grandezza. Questo procedimento aveva il vantaggio di ridurre notevolmente il materiale di scarto.
La cultura musteriana. Questo tipo di manifattura, a cui si accompagna la tecnica detta levalloisiana, costituisce la principale cultura di Homo sapiens neandertalensis e si diffuse fra 200.000 e 50.000 anni fa. I reperti ad essa collegati provengono da tutta Europa, a partire dalla grotta del Moustier (Dordogna, Francia) e dalla cava Levallois (presso Parigi, Francia).
Il metodo Levallois consisteva nel preparare il nucleo in modo da riuscire ad ottenere schegge di forma definitiva. Grazie a questa tecnica, lo scarto di lavorazione si riduceva ulteriormente: lo studioso A.Leroi-Gourhan ha calcolato che, mentre con il metodo olduvaiano da un chilogrammo di pietra si ottenevano al massimo 60 centimetri di lama tagliente, con il levalloisiano se ne producevano tre volte tanti.
L'abilità nel ritoccare le schegge moltiplicò le forme degli utensili, per cui oltre a raschiatoi e coltelli sempre più perfezionati furono prodotte anche punte di armi da lancio.
Le culture del Paleolitico superiore. La fase finale di Homo sapiens neandertalensis e l'avvento di Homo sapiens sapiens, a partire da 38.000 anni fa, coincisero con tecniche di lavorazione della pietra sempre più sofisticate.
La tecnica levalloisiana fu perfezionata tanto da prendere il nome di "industria su lame". Dal nucleo originario, adeguatamente preparato, venivano ricavate numerose schegge piatte, sottili e di forma allungata. Punte di lancia di varia dimensione e forma (da piatte a coniche), grattatoi, bulini (sorta di punte usate per incidere) e coltelli costituirono gli attrezzi prodotti con maggior frequenza.
Varie culture caratterizzarono la scena europea in questo periodo terminale del Paleolitico: l'aurignaziana (dal nome del sito francese di Aurignac, Alta Garonna), diffusa fra il 36.000 ed il 20.000 a.C.; la chatelperroniana (dal sito francese di Chatelperron), operante fra il 34.000 ed il 30.000 a.C.; la perigordiana (dal nome della regione francese del Perigord), compresa tra il 27.000 ed il 20.000 a.C.; la solutreana (dal sito di Solutré, Francia) racchiusa tra il 19.000 ed il 16.000 a.C.; la magdaleniana (dal nome del sito de La Madeleine, in Dordogna, Francia), che si protrasse fino al 10.000 a.C..
[1]Mito. Narrazione favolosa delle gesta di dei e d'eroi, relativa alle origini del mondo, del genere umano, di un popolo.
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