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pagina aggiornata il 01/10/2003 |
unità 1 - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola |
Liceo - Istituto Professionale
Corso di Storia - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola
Biennio
SEZIONE 2 - IL PALEOLITICO |
Percorso avanzato |
1. L'ambiente e il territorio |
2. Le risorse |
3. L'individuo e il gruppo |
4. Gli insediamenti |
5. Il sapere |
Capitolo primo.
L’AMBIENTE E IL TERRITORIO.
L'uomo e le forze della natura. Durante i millenni della sua prima evoluzione, l'uomo fu profondamente influenzato dall'ambiente che lo circondava e mostrò una scarsissima capacità di modificare le forze della natura. I cambiamenti climatici, soprattutto durante le glaciazioni, condizionarono l'esistenza umana imponendo di volta in volta di trovare le migliori soluzioni ai problemi posti dalla sopravvivenza: restare in un posto oppure emigrare, formare gruppi ridotti o numerosi, cibarsi prevalentemente di carne o di vegetali.
Capitolo secondo.
LE RISORSE.
La raccolta dei vegetali. Dopo l'abbandono della vita sugli alberi, Australopiteco mantenne una dieta vegetariana mentre Homo habilis divenne onnivoro. Sebbene l'alimentazione di quest’ultimo fosse composta anche di carne, il patrimonio di conoscenza delle piante fu conservato e approfondito, anche perché i mutamenti climatici e ambientali costrinsero sempre a verificare quali, fra i vegetali disponibili, potessero servire come cibo. Nelle comunità paleolitiche, l'elemento femminile si dedicò in modo più specifico alla localizzazione dei vegetali commestibili e alla conoscenza dei loro cicli di maturazione e dei loro meccanismi di riproduzione.
La caccia. Si è abituati a considerare la caccia come la principale risorsa alimentare del Paleolitico, anche se in realtà i reperti ossei non sempre permettono di capire se gli animali mangiati fossero stati catturati e uccisi oppure raccolti già cadaveri dopo essere stati abbattuti dai carnivori. Ugualmente, in tempi più prossimi alla domesticazione, è difficile accertare se gli animali mangiati fossero selvatici o addomesticati.
In genere, si considera Homo habilis un "opportunista" alimentare, cioè un “approfittatore” degli avanzi del pasto di qualche animale, mentre si sa che Homo erectus, certamente in possesso delle capacità mentali e tecnologiche per cacciare, praticò sia la cattura sia la predazione di carogne.
Homo erectus e Homo sapiens neandertalensis furono in grado di abbattere solo un numero limitato di specie animali, visto che le armi di cui disponevano (lance, giavellotti e arpioni) erano efficaci solo contro prede grandi e poco agili.
Nel tardo Pleistocene, Homo sapiens sapiens divenne un cacciatore specializzato grazie al propulsore[1], all'arco e alle frecce dalla punta ridotta e acuminata, che gli consentirono di colpire prede anche piccole e veloci.
La pesca. Quest'attività è stata spesso considerata di più tarda apparizione e di minor importanza rispetto alla caccia. Recenti ritrovamenti hanno invece dimostrato che la pesca marina e fluviale fece già parte delle abilità di Homo erectus accanto alla raccolta dei molluschi e fornì importanti risorse alimentari a molte comunità. Homo sapiens sapiens si specializzò nella cattura di grandi pesci (ad esempio, i tonni) e rese la pesca una risorsa di prim’ordine per merito dell'arpione con la punta d'osso.
Il controllo e la produzione del fuoco. Accanto alla produzione di utensili litici, il controllo del fuoco costituisce una delle abilità accertate tra gli uomini preistorici e proprio la presenza di focolari appare uno dei principali elementi utili a differenziare i segni della presenza umana da quelli della presenza animale.
Benché alcuni studiosi abbiano attribuito l'uso del fuoco già ad Australopitecus e a Homo habilis, si è certi che quest’attività fu propria di Homo erectus, anche se non è chiaro se quest'ultimo "raccogliesse" e conservasse il fuoco prodotto dalla natura (ad esempio, causato da fulmini o dall'autocombustione di sterpi in periodi di siccità) o fosse invece in grado di accenderlo.
Dalla glaciazione di Mindel, i focolari costruiti con modalità diverse e alimentati con legna e ossi trovarono posto nelle abitazioni, nelle grotte e all'aria aperta. I focolari, fonti di luce e calore, salvaguardarono l'abitabilità delle caverne e costituirono un vero e proprio strumento tecnico: servironoo per cuocere gli alimenti, per preparare coloranti come le ocre, per staccare i frammenti di pietra dal nucleo, per indurire il legno e per piegare l'osso.
La produzione di utensili e oggetti. La pietra fu lavorata sistematicamente a partire almeno da due milioni d’anni fa. Da principio, la tecnica era molto semplice: si prendeva un ciottolo di fiume, lo si percuoteva con un altro ciottolo e si staccavano schegge da una sola faccia o da entrambe fino ad ottenere un margine tagliente (cfr. Materiali per l'approfondimento: "Le culture litiche").
Homo erectus imparò dapprima a scheggiare i ciottoli su entrambe le facce e a renderli più simmetrici e piatti, poi a lavorare le schegge staccate dal nucleo di quarzo, selce o ossidiana, fino ad ottenere utensili piccoli e adatti a compiti di precisione. Homo sapiens apprese a preparare accuratamente il nucleo, che divise in grossi frammenti già sagomati nel modo più funzionale con una serie di scheggiature; così facendo, ridusse gli scarti di lavorazione e con le schegge fabbricò utensili come coltelli, raschiatoi, bulini e punte. Oltre alla pietra egli lavorò l'osso, che richiedeva un'elaborazione più complessa, ma era meno fragile e più adatto per utensili sottili e appuntiti quali aghi e punte d'arpione.
Gli scambi. I ritrovamenti archeologici hanno permesso di provare che molti materiali, come sofisticati utensili litici, pietre focaie e monili, venivano trasportati a notevole distanza dai luoghi d'origine e di lavorazione. Ad esempio, l'ambra dell'Europa settentrionale affluiva in Austria, in Francia e in Spagna, mentre le conchiglie dall'Atlantico pervenivano fin nell'Italia settentrionale e quelle del mar Rosso raggiungevano la Svizzera. Nessuno studioso ha comunque finora dimostrato che nel Paleolitico esistesse un vero e proprio commercio praticato da mercanti di professione.
Capitolo terzo.
L'INDIVIDUO E IL GRUPPO.
Struttura dei primi gruppi umani. Quasi sicuramente, già nei primi gruppi esistevano gerarchie che differenziavano gli individui in base all'età, alla forza e al sesso. Tali gerarchie davano forma ai rapporti personali e ai compiti.
Bambini e anziani. Se i bambini costituivano un ostacolo per l'approvvigionamento alimentare del gruppo e, al tempo stesso, rappresentavano la sua fondamentale speranza di sopravvivenza, gli anziani incarnavano l'aspetto dell'esperienza e della conoscenza. L'elevata mortalità infantile, stimata al 40% circa dei bambini inferiori ai cinque anni d’età, rese assai bassa l'aspettativa di vita alla nascita, non superiore ai 15-20 anni. D'altra parte, è stato valutato che l'aspettativa di vita sarebbe aumentata con il passare dell'età, tanto che circa un adulto su due avrebbe superato i 55 anni e una percentuale non trascurabile avrebbe raggiunto quella che noi chiamiamo vecchiaia.
Sessualità e riproduzione. In ogni piccolo gruppo umano, la proporzione tra la quantità di individui appartenenti ai due sessi è sottoposta a rilevanti e casuali oscillazioni; è facile dunque comprendere come l'eccesso di maschi o di femmine, possa rompere i delicati equilibri interni al gruppo, mettendo a repentaglio la compattezza necessaria alla lotta per la sopravvivenza. Come altri mammiferi sociali, anche l'uomo dei primordi mise a punto un meccanismo in grado di risolvere tale problema: l'esogamia obbligò infatti i giovani a cercare il proprio partner fra i membri di un gruppo diverso da quello di origine.
Popolazione e risorse. Nel Paleolitico l'incremento demografico fu lentissimo: il paletnologo A.Leroi-Gourhan ritiene che la crescita annua fosse pari allo 0,0002%. Peraltro, al fine di evitare un incremento di popolazione che avrebbe sconvolto il difficile equilibrio fra risorse e consumi, i gruppi umani dovettero affrontare il problema della limitazione della fecondità: occorre infatti tener conto che, in assenza di controllo delle nascite, una donna che arrivasse all'età di cinquant'anni potrebbe produrre fra quattro e otto figli, mentre il normale rinnovamento generazionale non ne richiede che due. Ancor oggi, in società definite primitive sono riscontrabili lunghe interruzioni del ciclo ovulatorio dopo il parto (dovute anche al prolungato allattamento), tabù[2] sessuali, infanticidi, ritardi dell'età di accoppiamento, celibati definitivi e aborti.
Capitolo quarto.
GLI INSEDIAMENTI.
I primi ripari. Nell'ambiente-savana, Homo habilis trovò il territorio adatto alla propria sopravvivenza. Egli organizzò dei campi-base provvisti di muretti semicircolari a secco nelle vicinanze dei corsi d'acqua, in zone ricche di vegetazione e d'ombra; tali sedi si rivelarono utili sia per abbeverarsi, sia per cacciare e recuperare carogne, sia per raccogliere vegetali. Inoltre, egli riservò specifiche aree alla macellazione degli animali e sfruttò le cave di selce per reperire i ciottoli da scheggiare e trasformare in utensili.
Grotte e capanne. Homo erectus abitò in capanne di legno e pietra munite di focolari, mentre Homo sapiens preferì dimorare nelle caverne. Questi insediamenti erano in genere abitati stagionalmente e rispondevano alla necessità di sopportare il rigido clima delle fasi glaciali, visto che la mobilità era una scelta obbligata per assicurare cibo e sopravvivenza. In particolare, le grotte costituivano un riparo adatto a difendersi dai predatori ed è probabile che venissero utilizzate quando le femmine dovevano partorire o quando i bimbi erano troppo piccoli per essere spostati.
Santuari e cimiteri. Paradossalmente, i primi uomini a trovare una dimora fissa furono i morti, infatti le grotte furono usate come cimiteri prima ancora che come abitazioni. Le incisioni rupestri dimostrano che i gruppi tornavano nelle caverne per svolgere i riti propiziatori della caccia e della comunicazione con i defunti, necessari a rafforzare il senso dell’esistenza e la cooperazione. La montagna, le cui viscere ospitavano i resti degli antenati e le raffigurazioni sacre, sembra perciò anticipare la piramide, che più tardi celebrerà in modo monumentale il cruciale rito di passaggio [3] rappresentato dal transito dalla vita alla morte (cfr. Materiali per l'approfondimento: "Il rito").
Capitolo quinto.
IL SAPERE.
Le sepolture. La cura dei consanguinei estinti fu un modo per rendere accettabile e comprensibile la morte, che sfuggiva a ogni spiegazione incombendo sui destini di tutti; inoltre, le cerimonie funebri acquistavano senso ulteriore in quanto ricostruzione del passato, poiché l'armonia con gli antenati era un legame per la comunità dei vivi. Anche il cannibalismo, che come spiega l'antropologo C. Lévi-Strauss non può essere considerato un'orrenda tradizione dei primitivi in quanto è fondamento di ogni religione, era legato al desiderio di appropriarsi delle migliori qualità del morto evitandone al tempo stesso il ritorno.
L'usanza di seppellire i morti s'affermò con Homo sapiens, che depose nelle grotte i cadaveri nascosti sotto cumuli di pietre oppure le loro ceneri. Il destinare luoghi particolari ai defunti assunse una dimensione culturale sempre più ampia, visto che le sepolture furono accompagnate da riti quali la sistemazione di un corredo funerario (cibi, oggetti, armi), la colorazione dei cadaveri con il rosso e la loro disposizione come feti nei grembi materni rivolti verso il luogo in cui nasce il sole.
L'arte del Paleolitico. Risalgono a 25.000 anni fa le statuette stilizzate di pietra, osso o avorio, che rappresentano nudi femminili e a cui viene dato il poetico nome di Veneri; queste donne, dai seni prominenti e dal ventre rigonfio, riproducevano l'immagine di una dea-Madre e venivano probabilmente utilizzate nei riti propiziatori della fecondità.
Nel Paleolitico superiore, grandi pitture e incisioni decoravano l'interno delle grotte, raffigurando spesso scene di caccia o grandi erbivori; disegnare abbondanti prede era probabilmente un'operazione magica, finalizzata a propiziare la caccia, che in qualche modo anticipò i risultati ottenuti nel Neolitico con l'allevamento (cfr.Materiale per l'approfondimento: "Pensiero selvaggio e magia"). Nelle caverne spagnole di Altamira e in quelle francesi di Lascaux restano le tracce più belle dei pittori-cacciatori di 17.000 anni fa, che scalfivano le rocce con pietre acuminate e tracciavano segni con rudimentali pennelli o con le dita impregnate di colori ricavati con sostanze minerali.
Ancor oggi, popoli che vivono in modo primitivo continuano a ritenere le grotte come luoghi sacri, perché esse conducono nel cuore della terra e perché la loro forma rimanda a quell'umido ambiente primordiale che è il ventre materno. Spesso, nelle loro vicinanze sono seppellite statuette di esseri con sproporzionati organi genitali: quasi una costante che ha percorso la storia a partire dal Paleolitico.
[1]Propulsore. Strumento di osso o corno a forma di bastone, sulla cui estremità veniva incastrata la base del giavellotto; serviva a scagliare l'arma con maggiori forza e velocità.
[2]Tabù. Indica tutto ciò che viene considerato sacro e magico e, pertanto, intoccabile ed inviolabile.
[3]Rito di passaggio. Pratiche e cerimonie che servono a rendere meno traumatico e sanzionare l'abbandono di un vecchio ruolo e l'assunzione di uno nuovo da parte di un membro di una comunità. La nascita, la pubertà, l'inserimento nel gruppo degli adulti, la morte sono alcuni di questi passaggi critici della vita sociale dell'uomo.
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