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pagina aggiornata il 01/10/2003 |
unità 1 - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola |
Liceo - Istituto Professionale
Corso di Storia - Dalle origini dell'uomo alla rivoluzione agricola
Biennio
SEZIONE 3 - IL NEOLITICO |
Percorso avanzato |
1. L'ambiente e il territorio |
2. Le risorse |
3. L'individuo e il gruppo |
4. Gli insediamenti |
5. Il sapere |
Capitolo primo.
L'AMBIENTE E IL TERRITORIO.
Il clima e l’ambiente. La fine dell'ultima glaciazione intorno al 10.000 a.C. apportò profonde modificazioni all'ambiente, mettendo alla prova le capacità di adattamento degli uomini. Il graduale passaggio dal clima freddo a quello temperato provocò lo scioglimento dei ghiacci, il moltiplicarsi dei corsi d'acqua, la formazione di acquitrini nelle pianure, l'innalzamento del livello dei mari.
Nel Settentrione dell'Europa, dell'Asia e dell'America, inverni miti e primavere piovose favorirono la diffusione dei manti boschivi, l'aumento delle specie vegetali sui declivi montani e la fine dell'isolamento delle valli, i cui passi divennero sgombri dalle nevi perenni. Per altro verso, a causa del clima più caldo, le aree meridionali patirono l'inaridimento dei suoli.
Questi cambiamenti ambientali contribuirono all'estinzione di molti animali di grossa taglia e alla migrazione di altre specie che colonizzarono terre in precedenza inospitali.
L’uomo e l’ambiente. Le trasformazioni degli ambienti costituirono una vera e propria sfida per tutti gli esseri umani. Alcuni gruppi accentuarono il proprio nomadismo, estendendo gli spazi su cui praticavano la caccia e la raccolta di vegetali; altri, viceversa, trovarono nuove e più efficaci strategie di sopravvivenza, basate sulla sedentarietà, sull’agricoltura e sull’allevamento.
Tali rivoluzionarie scoperte che caratterizzarono il Neolitico (10.000-4.500 a.C.) segnarono un salto di qualità nel rapporto fra uomo ed ambiente. La domesticazione di piante ed animali fu un epocale tentativo dell'uomo di sottomettere la natura; nelle aree occupate dai sedentari (inizialmente, solo una ristretta minoranza) il paesaggio mutò fisionomia: i boschi vennero distrutti con il fuoco e trasformati in campi; i corsi d'acqua furono deviati per irrigare i suoli.
La coltivazione dei cereali e la riduzione in cattività dapprima degli ovini, poi dei suini, infine dei bovini furono sperimentate in tre distinte aree geografiche: il Vicino Oriente, la Cina centro-settentrionale e l'America centrale. In seguito, comparvero in Africa, in Indocina e in America meridionale. Un paio di millenni occorsero, infine, per raggiungere l'Europa, a partire dai Balcani (cfr. Materiali per l'approfondimento: "Luoghi d'origine e tempi di diffusione dell'agricoltura").
Capitolo secondo.
LE RISORSE.
La transizione neolitica. E' poco utile stabilire un rigido sistema di cause ed effetti per spiegare l'avvento del Neolitico, infatti molti fattori (domesticazione di piante ed animali, sedentarietà, incremento demografico...) risultano al tempo stesso cause ed effetti. Ugualmente, appare complesso stabilire date precise per le trasformazioni che hanno riguardato popoli dispersi in vari angoli del mondo: solo gli albori di questa dinamica possono essere collocati con una certa precisione tra il 10.000 e l'8.000 a.C..
La sedentarietà. Il lento assestamento di climi e ambienti dopo la fine delle glaciazioni contribuì a garantire agli uomini una maggior disponibilità d’alimenti. La sedentarietà fu una delle risposte possibili ai mutamenti degli ambienti e sfruttò il favore di una rigogliosa vegetazione, di un copioso corso d'acqua, dell'abbondanza di selvaggina.
La sedentarietà si configurò dunque come condizione perché gli uomini si attrezzassero per produrre in una stessa località ciò che serviva loro per sopravvivere.
Col tempo, le comunità si ingrandirono sia perché la disponibilità d’alimenti permetteva di mantenere una prole più numerosa, sia per l’afflusso di immigrati. L'addensamento demografico rese tuttavia insufficienti le risorse naturali spontanee e pose con forza il problema di trovarne di nuove.
L’allevamento e l’agricoltura. Reperti archeologici documentano casi di allevamento fin dal 9.000 a.C.. Il cane fu forse il primo animale addomesticato: le sue usanze alimentari e la sua forma di aggregazione sociale (i cibi preferiti e i modi di procacciarseli erano analoghi a quelli umani; ugualmente analoghi risultavano la fedeltà al gruppo ed il rispetto della gerarchia) ne fecero un prezioso alleato nelle battute di caccia.
Il passaggio dall'abbattimento all'allevamento di animali avvenne gradualmente, forse per effetto della diminuzione degli esemplari in seguito ad estinzioni e migrazioni. La caccia selettiva, che risparmiava piccoli e femmine gravide, e la cattura di capi vivi potrebbero aver favorito una conoscenza più precisa di abitudini, regimi alimentari, tempi e modi di riproduzione degli animali; solo in un secondo momento, si sarebbe giunti alla segregazione degli animali ed al loro accoppiamento in cattività.
Un processo analogo avrebbe permesso di passare dalla raccolta alla coltivazione. Anche in questo caso, la raccolta di graminacee selvatiche e l'estirpazione di erbe nocive o inutili avrebbe preceduto l'agricoltura; possiamo pensare a un percorso che, dalle pratiche semi-agricole compatibili con una parziale sedentarietà, condusse alla semina, alla selezione e all'ibridazione[1] delle specie.
I progressi tecnici. Tutti questi mutamenti furono accompagnati da un raffinamento delle tecniche litiche. La levigazione della pietra rese più taglienti asce, frecce e lance; un nuovo utensile, la zappa, consentì le pratiche agricole: grazie alla lama fissata a un manico di legno, la superficie della terra venne scassata per deporre il seme e le erbacce furono rimosse con maggior efficacia fin nelle radici.
La filatura e la tessitura aumentarono le possibilità di fronteggiare le variazioni climatiche; inoltre, gli abiti assunsero un forte valore simbolico: alcuni antropologi pongono l'accento su come abbiano avuto un'importante funzione nei riti e su come, costituiscano un’espressione di prestigio.
La ceramica, impasto di terra e acqua essiccato al sole o cotto nel fuoco, seppur già utilizzata in epoca precedente l'agricoltura, divenne indispensabile. Contenitori di varia misura furono costruiti con tecniche a "colombino" (sovrapposizione di rotoli d'argilla, lisciati in un secondo tempo) e utilizzati per conservare e trasportare l'acqua, per contenere e proteggere gli alimenti contro topi e insetti, per adornare le case e i sepolcri. Per cogliere l'importanza di quest’invenzione, si pensi alle tavolette d'argilla che divennero supporto per le prime forme di scrittura e ai mattoni con cui furono erette le città.
Il lavoro e il possesso dei beni. Le tecniche di sopravvivenza del Paleolitico, incentrate sulla caccia e sulla raccolta dei frutti spontanei della terra, si erano fondate su un sistema di possesso comunitario, secondo cui i membri di un gruppo riunivano gli alimenti e se li spartivano in base alle necessità di ciascuno. D'altronde, i gruppi erano di modeste dimensioni e spesso formati da consanguinei; inoltre, gli sforzi individuali per procacciare cibo non necessariamente fornivano risultati all'altezza delle aspettative.
Questa situazione mutò con la sedentarietà e soprattutto con la produzione, che legò più strettamente il lavoro al benessere. Nei villaggi, gli individui divennero più numerosi mentre l'abbondanza del raccolto e dei capi di bestiame dipesero in modo più diretto dall'assiduità e dalla cura del lavoro; la terra, affidata alla manodopera femminile, fu inizialmente gestita in comune, così come in comune erano allevati i figli; al contrario, il bestiame, che era sotto la tutela maschile, fu considerato un possesso individuale, così come individuali erano i valori di cui i maschi erano portatori, dal coraggio alla forza fisica. Il possesso individuale separò i destini delle persone e determinò nuovi processi di trasformazione economica.
La cerealicoltura, il surplus produttivo e le nuove attività. L'iniziale coltivazione a zappa fu innovata dall'invenzione dell'erpice, prima rudimentale forma di aratro. L'impiego di questo strumento nella coltura dei cereali consentì la preparazione di suoli così estesi da soddisfare le esigenze alimentari di comunità numerose e da permettere una produzione superiore a quella necessaria. Il bestiame s'integrò strettamente con le pratiche agricole: il traino animale dell'aratro alleviava il lavoro umano; gli escrementi, sparsi sui campi prima della semina, ripristinavano la fertilità che i cereali esaurivano più in fretta di altri vegetali.
L'accresciuta importanza del bestiame consentì ai maschi di assumere il controllo dell'agricoltura e di imporre il possesso individuale anche sulla terra coltivata; l'accumulo di beni estese ancor più il senso dell'esser padrone. Cerealicoltura e allevamento assicurarono agli uomini più beni di quanti ne consumassero, dando origine a un processo di accumulazione; all'interno delle comunità, quest’eccedenza di prodotti (surplus) liberò forze per assecondare nuove esigenze.
Alcuni individui abbandonarono il lavoro dei campi per dedicarsi ad attività specializzate: con l'invenzione del tornio, la ceramica fu lavorata da artigiani di professione; grazie alla ruota, al carro e alla vela, che aumentarono la velocità degli spostamenti e permisero l'aumento dei carichi trasportati, i mercanti si spinsero a grande distanza dai villaggi. Gli scambi s'intensificarono e i popoli usufruirono di risorse (ambra, pietre focaie, manufatti...) provenienti da terre lontane; la diversità di suoli, culture e prodotti si trasformò in occasione di reciproco arricchimento o alimentò bramosie e scontri.
Nomadi e sedentari. Nelle terre più fertili, là dove vi erano abbondanti corsi d'acqua, si formarono insediamenti stabili dediti all'agricoltura e società più aperte alle innovazioni; al contrario, nelle grandi praterie, nelle savane e nei deserti, i nomadi praticarono l'allevamento, la caccia e la razzia, aggregandosi in società più inclini a conservare le tradizioni; in regioni poco adatte alle colture, s’affermarono pratiche pre-agricole compatibili con una vita semi-nomade; anche nelle zone più sviluppate l'esaurimento della fertilità dei suoli obbligò talvolta i gruppi umani a trasferirsi e a cercare terre vergini e fertili. Se pensiamo che ancor oggi vivono tribù primitive, possiamo facilmente immaginare come, non solo in spazi diversi ma anche all'interno delle stesse comunità, si siano anticamente accostate abitudini del Paleolitico e del Neolitico.
I vantaggi e gli svantaggi dell'agricoltura. Per molti aspetti, l'agricoltura su vasta scala costituì un progresso. Infatti, rispetto alla semplice raccolta di vegetali o all'orticoltura o alla coltivazione semi-nomade o all'allevamento nomade essa permise di produrre una maggiore quantità di alimenti a parità di lavoro e facilitò un più rapido aumento demografico, una maggiore densità nell'occupazione dei suoli e una superiore complessità sociale.
Tuttavia, considerata sotto un altro profilo, l'agricoltura rappresentò un regresso. La selezione dei vegetali (che pure permetteva di ottenere frutti più grandi in tempi brevi) condusse a utilizzare non più di una ventina di specie contro le oltre mille riconosciute in precedenza adatte all'alimentazione; una dieta basata fondamentalmente sui cereali, pur ricca di calorie, risultò povera di principi nutritivi; inoltre, riducendo la gamma dei prodotti, l'agricoltura si espose a tramutare un cattivo raccolto in un disastro, inducendo feroci carestie.
Anche la sedentarietà non contenne solo aspetti positivi: la concentrazione degli uomini sul territorio, permanendo abitudini igienico-sanitarie malsane, aggravò il rischio di epidemie; topi e insetti trassero vantaggio dalla mancanza di infrastrutture igieniche e dall'ammucchiarsi dei rifiuti; la stagnazione delle acque usate per irrigare favorì lo sviluppo della zanzara anofele, portatrice di malaria, mentre l'allontanamento e la distruzione della fauna selvatica fecero sì che questo insetto si specializzasse sull'uomo.
"Non cerchiamo quindi di ricondurre tutti i tipi di sviluppo sociale ad un modello unico, e riconosciamo che le società umane hanno considerato in maniera differente la propria attività produttiva. I popoli che vivono principalmente della raccolta di prodotti selvatici, i raccoglitori, i cacciatori non rappresentano le tappe successive di un'evoluzione che si imporrà a tutti... ma una scelta tra le tante possibili." (C. Lévi-Strauss).
Capitolo terzo.
L'INDIVIDUO E IL GRUPPO.
La popolazione, la sessualità e la riproduzione. La rivoluzione neolitica sconvolse l'andamento demografico: nelle aree interessate da processi di sedentarietà, la popolazione crebbe e si addensò enormemente.
Sebbene tutti gli studiosi concordino nel sostenere che il miglioramento delle condizioni di vita abbia inciso sulla crescita di popolazione, alcuni legano quest’ultimo fenomeno con la diminuzione della mortalità e altri, invece, ritengono che la stanzialità abbia talmente accresciuto le nascite da compensare i maggiori decessi causati dalla dieta meno variata e dalle epidemie dovute alla concentrazione di abitanti.
Secondo quest’ultima ipotesi, la vita associata avrebbe allentato il controllo delle nascite e permesso di accudire più di un figlio alla volta. In questo senso, la vita di villaggio viene considerata una risposta alle esigenze del nutrire e dell'allevare, che pose in stretta relazione il possedere una casa e il ruolo dominante della madre: una rivoluzione sessuale, che associava nascita, residenza, parentela e suolo, avrebbe così preceduto quella economica.
La divisione sessuale del lavoro. Fin da tempi antichissimi, la caccia e la difesa erano state praticate dai maschi, mentre la raccolta dei vegetali e la cura della prole erano state riservate alle femmine. Proprio le femmine avevano attuato le prime pratiche agricole, la lavorazione della ceramica e la tessitura; lo stesso addomesticamento degli animali, che pure era una competenza dei maschi, si svolgeva solitamente in recinti vicini alle abitazioni, cioè nei pressi dei luoghi femminili per eccellenza.
Queste considerazioni potrebbero far pensare ad un ruolo di maggior rilievo delle donne rispetto agli uomini. Alcuni studiosi sono giunti a ipotizzare l'esistenza di società nelle quali il potere era in mano delle donne; tuttavia non crediamo si possa parlare di un vero e proprio matriarcato[2], anche se molti gruppi adottarono la matrilinearità[3] come metodo per trasmettere i beni e riconoscere la prole.
Comunque, l'utilizzo del bestiame per il traino dell'aratro e la forza muscolare richiesta per lavorare la terra modificarono la divisione sessuale del lavoro: le cure dei campi divennero soprattutto compito maschile e, con l'invenzione del tornio, anche la ceramica fu sottratta alle donne. Il fatto che i maschi da sempre avessero esercitato la forza fisica come cacciatori e guerrieri fu certo determinante per il cambiamento.
Il singolo e il gruppo. All'interno dei gruppi stanziali, i rapporti si articolarono in modo sempre più complesso: aumentò il numero dei membri e si diversificarono le attività. Il sistema patriarcale si estese dal possesso di bestiame e di terre all'esercizio del potere nella comunità; le persone si aggregarono a seconda della condizione economica e del potere che esercitavano.
All'interno delle famiglie, dei clan[4] e dei villaggi, i maschi anziani rappresentarono l'autorità, in quanto, in un mondo in cui la conoscenza si tramandava oralmente e per tradizione, solo i vecchi avevano l'esperienza necessaria a svolgere funzioni di guida. I bambini e le donne non avevano pressoché alcun diritto.
Due figure assunsero un ruolo di grande potere e prestigio: il capo ed il mago-stregone. Il capo, maschio esponente delle famiglie più ricche, guerriero e cacciatore, governò il gruppo e ne coordinò la difesa. Il mago-stregone, mediatore tra gli dei e gli uomini e, per questo, conoscitore dei segreti del mondo naturale, con altri strumenti cercò di assicurare lo stesso risultato: egli presiedeva i riti propiziatori di fertilità e fecondità e le cerimonie d'iniziazione; egli curava e preveniva ciò che incrinava l'armonia tra il singolo, la comunità, la natura e gli dei (cfr. Materiali per l'approfondimento: "Il rito" e "Pensiero selvaggio e magia").
Capitolo quarto.
LE STRUTTURE INSEDIATIVE.
I villaggi. Il desiderio di possedere abbondanti prede, raffigurato nei graffiti delle grotte paleolitiche, trovò una parziale realizzazione nel villaggio, dove le risorse, animali e prodotti agricoli, erano racchiuse in un ambito più controllabile dall'uomo.
I villaggi, popolati da alcune centinaia di abitanti, erano edificati vicino a fonti d'acqua con i materiali a disposizione: paglia, legno, fango essiccato al sole. La struttura delle case risentì dell'esigenza d'immagazzinare le derrate alimentari e di conservarle il più a lungo possibile.
In Europa, gli insediamenti ebbero dimensioni molto modeste e si svilupparono in tempi più recenti rispetto al Vicino Oriente. Forma e materiali delle abitazioni variarono a seconda degli ambienti naturali: costruzioni in pietra a pianta circolare si diffusero in tutto il bacino del Mediterraneo; palafitte di legno vennero costruite sulle rive dei laghi; costruzioni d'argilla a base rettangolare furono ubicate su alture o protette da fossati.
L'importanza del contributo femminile anche in campo insediativo è documentata dalla frequente forma rotonda di case e tombe, che rimanda al vaso ricolmo di alimenti e al ventre che dà la vita. Quasi tutti i popoli ripresero e rielaborarono sotto forma di racconto mitico quest’associazione dei luoghi che generano e proteggono l'esistenza.
Capitolo quinto.
IL SAPERE.
I cambiamenti della mentalità: l’uomo e la natura. Fino al Paleolitico gli uomini avevano sofferto e assecondato la forza della natura, senza poter far altro che approfittare delle opportunità da essa offerte spontaneamente; viceversa, nel Neolitico essi presero a imprimere fortissimi cambiamenti all'ambiente, operando con tecniche, strumenti e materiali moltiplicati.
Con bisogni e paure finalmente affrontabili, gli uomini si aprirono al mondo. Essi continuarono a percepire la natura come potenza infinita e a proiettare su di essa la dimensione del sacro, però la capacità di domesticare spazi sia pur ridotti li indusse a confinare spiriti, divinità ed esseri fantastici in luoghi selvaggi, quali grotte e corsi d'acqua, laghi e montagne.
I cambiamenti della mentalità: l’individuo e il gruppo. La stanzialità ebbe come primo risultato, banale e rivoluzionario al tempo stesso, la scoperta del rapporto di vicinato nel nuovo ambito della convivenza e dello sforzo comune di organizzare le strategie di sopravvivenza. Quando le società divennero più stratificate[5], le relazioni fra le persone incominciarono a modificarsi e le conoscenze si specializzarono così come le capacità: la ricchezza si rese evidente mediante il possesso di oggetti raffinati e prestigiosi; l'affermarsi del patriarcato fece sì che il dominio del maschile sul femminile si rispecchiasse in miti e rituali religiosi.
I culti e le cerimonie. Il culto degli antenati mantenne compatti clan e famiglie, affermando il principio che la sopravvivenza del gruppo dipendeva dalla continuità con la tradizione, dal mantenimento di un'autorità che affondava le radici nel passato e dal rispetto di un ordine sperimentato nel tempo.
A fianco di divinità femminili legate ai culti della fecondità e della fertilità (forse discendenti dalle "Veneri" paleolitiche) incominciarono ad affermarsi gli dei del cielo, creatori e ordinatori del mondo, a volte identificati con astri o fenomeni meteorologici.
Monumenti di pietra (i megaliti, dal greco mega, grande, e lithos, pietra) furono orientati in riferimento ai corpi celesti: presso Stonehenge, in Inghilterra, cerchi di menhir (massi di forma allungata collocati verticalmente) sono disposti in modo da coincidere con la posizione in cui quattro millenni fa si trovava il sole all'alba del solstizio d'estate.
L'arte. Le forme artistiche segnalano una sostanziale continuità con il Paleolitico, anche se la stabilizzazione dei gruppi umani consentì una riproduzione più puntuale degli eventi quotidiani.
In molte aree continuò la tradizionale attività della pittura e delle incisioni rupestri. Tra l'8.000 e il 5.000 a.C., tra la Scandinavia e la Siberia si sviluppò uno stile detto "artico", che rappresentò animali ed esseri umani con una tecnica puntiforme. Intorno al 6.000 a.C., nel Nord del Sahara, pitture rupestri ritrassero in modo naturalistico la selvaggina locale e, in periodi successivi, testimoniarono l'allevamento di bovini ed equini. Verso il 3.000 a.C., nella penisola iberica, il vivace stile "del Levante" raffigurò scene di caccia e di combattimento.
Spesso, la ceramica sostituì la pietra come materiale: figurine di terracotta risalenti al IX millennio a.C. sono state trovate in Iran; vasi decorati e modellati si diffusero in Mesopotamica e nella penisola anatolica; in Europa, i manufatti d'argilla sono alla base della definizione di culture quali quella dei bicchieri a forma di campana, quella dei bicchieri con collo a imbuto, quella della ceramica a nastro (così chiamata per le strisce incise sui recipienti) e quella della ceramica decorata a cordicella.
[1]Ibridazione. Tecnica di incrocio tra due razze di una stessa specie (animali o vegetali) finalizzata a ottenere un tipo migliore per qualità e prestazioni.
[2]Matriarcato. Sistema nel quale il potere all'interno della famiglia e della società è in possesso delle donne.
[3]Matrilinearità. Regola sociale che stabilisce la trasmissione dei beni per linea femminile e il riconoscimento dei figli per linea materna.
[4]Clan. Gruppo di famiglie legate da rapporti di parentela.
[5]Stratificazione sociale. Fenomeno per cui gli individui appartenenti ad un gruppo si dividono, riunendosi in base alla comune condizione economica o culturale; i sottogruppi che ne conseguono risultano disposti come strati, più alti o più bassi a seconda del prestigio sociale che li contraddistingue.
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